Informazioni su nicolettagrillo

Autrice, poetessa, giornalista pubblicista. Ma anche studiosa di filosofia e insegnante. Doversi definire con una sola parola è difficilissimo; un po’ come quando, da bambini, ci chiedevano se volevamo più bene al papà o alla mamma. Per semplificare posso dire che mi interessa tutto quello che riguarda la parola e l’espressione. E so anche dire quando questa passione è cominciata: cioè quando, leggendo il mio primo libro, ho provato una sensazione di enorme sollievo scoprendo che le sensazioni confuse che mi sentivo pesare addosso trovavano nelle parole un nuovo ordine e un’insospettata leggerezza. Non in tutte le parole, ma nelle parole giuste, quelle che sanno esprimere e dare una forma. L’ossessione per la ricerca delle parole giuste non mi ha più abbandonato: è stato il motivo che mi ha sempre spinto a scrivere, il motivo per cui ho studiato Filosofia, e il motivo per cui ho cominciato a insegnare. Perché trovare le parole significa comprendere, e aiutare i ragazzi a raccontarsi è un modo per aiutarli a capire se stessi e il mondo che li circonda. Ma procediamo con ordine. Sono nata a Milano, ma solo perché mia madre ha deciso di partorirmi in una clinica meneghina: i miei primi trent’anni li ho passati a Como. A Milano, all’Università Statale, mi sono laureata in Filosofia; a Como ho cominciato a lavorare come giornalista free lance e come redattrice per una rivista specializzata nell’ambito del terzo settore. Nel frattempo ho pubblicato articoli su riviste di filosofia e ho partecipato ad alcuni convegni sul filosofo francese Maurice Merleau-Ponty. Nel 2000 mi sono trasferita a Berlino dove, dopo una serie di lavori disparati, sono riuscita a trovare un posto come insegnante di etica. Ma, non riuscendo a dimenticare il mio primo amore, la filosofia, mi sono iscritta alla Humboldt Universität zu Berlin dove nel tempo rubato al lavoro ho scritto la mia tesi di dottorato sul poeta e pensatore francese Paul Valéry, tesi poi pubblicata con la casa editrice tedesca Logos (Der Engel und der Spiegel. Zur Philosophie Paul Valérys, Logos Verlag, 2012) ZL Nicoletta-Grillo-Lettera-allamministrazione-copertinapiatta-500x709La mania di rubare tempo al lavoro e al sonno per scrivere mi è rimasta. A Berlino ho cominciato a comporre poesie che hanno incontrato diversi riconoscimenti: nel 2013 vinco il premio Verba Agrestia, nel 2014 sono tra i finalisti del Premio di letteratura Città di Como. Nel 2014 le edizioni LietoColle pubblicano la mia silloge Lettere all’Amministrazione del condominio. Altre mie opere si trovano in antologie e sul web, per esempio la silloge Io e il signor Teste. Nel febbraio 2015 ho preso parte a Berlino all’evento letterario “Letteratura sul Ring”: una sfida in più lingue di scrittura in diretta dai vagoni del treno urbano berlinese. Altre informazioni sul progetto le trovate qui: www.letteraturasulring.wordpress.com

Il Gruppo 77 e il festival DialogArti

Dialogarti locandina

Se la montagna non va da Maometto….Ovvero: se il pubblico non si avvicina da sé alla poesia, tocca alla poesia andare dal pubblico. Scendere dalla torre d’avorio in cui spesso è relegata, interagire con i visitatori, con altre forme artistiche, e magari prendere possesso di un luogo atipico: in questo caso una ex fabbrica di cappelli e borse, Santevincenzidue, nel quartiere Cirenaica di Bologna, i cui spazi, nel fine settimana del 3-14-15 maggio 2016, saranno invasi da poesia, certo, ma anche da danza, fotografia, video…

È questa l’iniziativa del Gruppo 77, nato dall’incontro di un gruppo di persone appassionate di poesia in una storica vineria bolognese, che si propone proprio di diffondere la poesia tra il maggior numero di persone possibili e che per il secondo anno di seguito organizza un festival dall’indicativo nome di „DialogArti“. A dialogare, avvicinati dal tema comune dell’apnea esistenziale, saranno per esempio le fotografie di Mario Beltarmini, le delicate opere in fil di ferro dell’artista giapponese trapiantata a Bologna Chizu Kobayashi, l’installazione di musica, video iterattivi, poesia e danza di Premessa III” (coreografie di Sissj Bassani, Sara Magnani, Camilla Neri, musiche di Fabrizio Sirotti), solo per fare alcuni esempi.

Ospite di oggi è Alessandro Dall’Olio, uno dei fondatori del Gruppo, che ci racconta qualcosa di più:

Alessandro, come è nato il gruppo 77 e cosa ti/vi ha spinto ad occuparti attivamente di poesia?    Tre anni fa venni contattato dalla proprietaria di una enoteca (sensibile alla Cultura) per presentare i miei libri nel suo locale. Davanti alla sua gentilezza io, da perfido altruista quale sono, le chiesi: perché invece di presentare i miei libri e le mie poesie non mi dà la possibilità di fare una rassegna in modo da fare ascoltare tante voci, e non solo la mia? Sinceramente ero stufo del modo ombelicale di alcuni ambienti letterari dove il modus vivendi è “me, myself and I” oppure “Io so, voi no”. Quindi con le sole mie forze ho ideato la rassegna Portici Poetici, avvicinando le voci di chi scrive in versi a Bologna (per nascita, per domicilio o per ispirazione). Volevo che autori conosciuti e autori sconosciuti potessero incontrarsi. E soprattutto incontrassero il pubblico e lo avvicinassero. Insomma, a seguito del successo della manifestazione che si è tenuta in via S. Stefano 77 (quindi 77 come numero civico), alcuni autori e alcuni veri amanti della poesia che si sono conosciuti solo grazie alla rassegna hanno voluto continuare a trovarsi per confrontarsi, discutere, includere e conoscere. Un modo di stare insieme, di ricreare comunità, come fin dall’antichità era primo risultato del fare poesia.

Il Gruppo 77 organizza per il secondo anno il festival DialogArti: ci puoi spiegare di cosa si tratta?    Con Il Gruppo 77 abbiamo sempre cercato di portare i nostri reading/spettacoli al maggior pubblico possibile nel miglior modo possibile, affiancando al valore letterario dei nostri versi altre forme artistiche: videoproiezioni, musica dal vivo, danza… Si sa, in tanti ambienti – culturali e non – quasi tutto è egoriferito: i poeti parlano solo con i poeti, i musicisti parlano solo con i musicisti, gli imbianchini parlano solo con gli imbianchini, i cuochi con i cuochi. Ho sempre cercato di far sì, invece, che tutti potessero parlare con tutti e non restringessero ancora il nostro comune vivere in gabbie egoistiche e recinti autoeretti. Il linguaggio poetico abbraccia tutti i modi e le possibilità, e in questo periodo in cui opportunismo, egoismo e snobismo sono quasi un esercizio quotidiano, la poesia ha il dovere di scendere per le strade e invitare alla delicatezza nelle relazioni umane. Quando ho pensato all’ideazione e alla progettazione di DialogArti per me è stata la naturale conseguenza del lavoro fatto con il Gruppo 77: organizzare un festival sulla possibilità di vicinanza e condivisione – attraverso la Poesia – delle differenti forme artistiche che si fondono, mediante il filo conduttore delle arti che si parlano, si coinvolgono, si contaminano. Fotografi, artisti visivi, ballerine, videomaker, scultori, street-artist, musicisti, che si riuniscono nello stesso magnifico spazio espositivo e dialogano tra loro. Viviamo in un clima sociale di perenne conflitto, ma è nell’incontro con l’altro che si forma il pensiero. Non certo restando sulla propria polverosa poltrona a sentenziare dei mali letterari dei nostri tempi, senza fare nulla oltre a criticare inutilmente e sterilmente. Trovare bei luoghi e avvicinare la gente è sempre un bel gesto, secondo me. In fondo la radice della parola poesia è poiein: fare. Se siamo poeti, onoriamone almeno la forza evocativa dell’etimo. Dialogarti danza

Secondo te esistono arti che “dialogano” meglio le une con le altre? E  qual è stato il vostro criterio di scelta per le forme artistiche del festival? Non ci sono, credo, arti che dialogano meglio tra di loro. Credo che ci siano artisti capaci di guardare oltre il proprio palmo di naso e conseguentemente capaci di dialogare. Quest’anno, ad esempio, un tema comune attraversa il Festival DialogArti: l’apnea esistenziale, il respiro corto della società. E devo dire che tutti gli artisti presenti sono stati entusiasti nell’accogliere questo “terreno comune”. Ho già visto in fase di allestimento menti e cuori perfettamente allineati. La bellezza, il rapporto adeguato tra contenuto e contenente, è ciò che incoraggia il dialogo e uindi la riflessione.

Quali sono le altre iniziative del Gruppo 77? In questi tre anni abbiamo organizzato, ideato e allestito circa 70 eventi in giro per l’Italia. “La geografia un destino” sulle ragioni dei migranti l’abbiamo rappresentata tre volte, in Emilia Romagna e in Veneto, lo spettacolo “Poeros” – che è divenuto anche una raccolta poetica edita da Samuele Editore – quattro volte (a Bologna, a San Mauro Pascoli, durante il Festivaletteratura di Mantova e a Trieste), e tanto altro ancora. Ad onore del cammino che condivido con chi segue gli importanti passi del Gruppo 77, ci tengo a sottolineare che lo scorso anno siamo stati l’unico gruppo poetico italiano ad essere invitato – e magnificamente accolto – al Festival Mondiale di Letteratura di Cork, in Irlanda. Il 21 maggio, il fine settimana subito dopo DialogArti, partiremo per Mantova dove il Festival Internazionale di Poesia Virgilio ci accoglierà per il secondo anno consecutivo.

Come reagisce secondo la tua esperienza il pubblico alle performance di poesia?La poesia regala un’ampiezza espressiva molto più vasta della realtà stessa, dal presente si consegna al futuro, perché alla fine potrebbe rimanerci solo la nostalgia di una vita sprecata e di tante occasioni perdute. Allora, almeno che rimanga quello che di veramente buono abbiamo fatto allargando le braccia per accogliere e distendendo i sorrisi sui volti. Avvicinando con i fatti chi ci sembrava distante. La poesia dovrebbe creare varchi, spazi di aperture, gentili respiri di prospettive. Portare nelle nostre vite un supplemento di significato. Conoscenza e riconoscenza. Qualsiasi opera, letteraria o artistica, ha bisogno di trasmittente e ricevente, gli artisti e il pubblico. Senza chi ti legge o chi ti ascolta l’opera è muta, incompiuta. Come disse il poeta e saggista Gianmario Lucini: “Non si scrive per i propri cassetti. Si scrive solo perché qualcuno ci legga”. La poesia ha tante espressioni e mutazioni, evoluzioni e involuzioni. Ma credo che il pubblico (eventuale) vada sempre rispettato e non preso in giro. Quando dici a qualcuno che scrivi poesie la prima reazione è spesso: “Voi poeti pensate sempre al suicidio!”, “Siete sempre tristi e scrivete parole in fila a caso…”, “L’ultima volta che sono stato a una lettura di poesia c’era uno che si sdraiava per terra e un altro girato di spalle che emetteva suoni…”. La responsabilità di questi luoghi comuni è di chi ha contribuito a mandare questi messaggi e facendolo ha allontanato le persone da questa straordinaria forma letteraria. Chiudendo porte, anziché aprirle. Usando l’incomunicabilità o il nonsense come elemento elitario e saccente. Maria Luisa Spaziani (poetessa tre volte candidata al Nobel) lo diceva: “Non perdonerò mai a certe avanguardie letterarie di avere promosso l’inintelleggibilità come elemento distintivo, allontanando definitivamente tanti giovani dalla poesia”. Qual è allora il valore letterario? E’ quando qualche parente o qualche recensore amico ti dice che il tuo libro è bello o quando persone a te sconosciute si avvicinano ai tuoi versi conquistati veramente dal tuo scrivere? Per parte mia non avrei dubbi nel scegliere sempre la seconda ipotesi. Perché i poeti sanno ridere, sanno vivere e sanno stare assieme.

Dialogarti artista giapponese

opera dell’artista Chizu Kobayashi

Il festival Dialogarti si svolgerà il13-14-15 maggio 2016 al loft Santevincenzidue (via Sante Vincenzi 2, quartiere Cirenaica).

La pagina web del Gruppo 77 e sue iniziative è questa
http://www.gruppo77poesia.it

La pagina facebook è: https://www.facebook.com/DialogArti-206557116376670/?fref=nf

Qui un link a uno dei video di presentazione del Festival

 

Le parole necessarie

Segnalo qui un evento che mi sta particolarmente a cuore. Ho sempre pensato che la poesia abbia l’incarico di dire il dolore – dirlo là dove non si vorrebbe guardare, dove si preferisce far finta di niente, o usare finte parole consolatorie. E la poesia sa dire anche la m12983942_1095500090512989_2539945790213310222_oalattia, trovare parole per l’innominabile e in questo modo renderlo condivisibile. L’iniziativa “Le parole necessarie” del Centro di poesia di Bologna nasce proprio per questo: dare voce al mondo solo apparentemente muto e asettico degli ospedali, a chi ci lavora, a chi ci soffre, alle famiglie dei malati. Il Laboratorio di Poesia sarà tenuto da Tommaso Di Dio (un poeta che tra l’altro mi piace molto, spero di avere occasione di parlarne presto). L’appuntamento sarà ogni martedì dal 10 al 31 maggio alle ore 17.00 presso il Padiglione 23 del Policlinico di Sant’Orsola.

Un libro che non basta: “Basta così” di Wisława Szymborska

Nonostante il nome difficile,  la poesia di Wisława Szymborska, autrice polacca nata nel 1923 e morta nel 2012, premio Nobel per la letteratura nel 1996, è abbastanza conosciuta: tanto che, con mia grande sorpresa, l’ho trovata citata alcune volte  su facebook da persone che non si occupano di poesia; cosa che non mi è mai successa per esempio con un altro poeta premio nobel, Tomas Transtömer. Forse perché la  poesia della Szymborska non mette paura, contrariamente a quella di altri poeti contemporanei, più cupi, o più impegnati in giochi linguistici. Non mette paura anche se i suoi componimenti sono ben lontani dall’essere semplici o consolatori: l’ironia, il gusto per la sorpresa, per il finale che spiazza, nascondono una feroce critica sociale, ma anche uno stupore filosofico (ovvero di interrogazione inesausta) davanti al mondo. Scelgo qui due poesie eblematiche di queste due tendenze dall’ultima opera, Basta così, nella traduzione di Silvano De Fanti (Adelphi, 2012).

 

C’è chi

 

C’è chi meglio degli altri realizza la sua vita.

È tutto in ordine dentro e attorno a lui.

Per ogni cosa ha metodi e risposte.

 

È lesto a indovinare il chi il come il dove

e a quale scopo.

 

Appone il timbro a verità assolute,

getta i fatti superflui nel tritadocumenti,

e le persone ignote

dentro appositi schedari.

 

Pensa quel tanto che serve

non un attimo in più,

perché dietro quell’attimo sta in agguato il

dubbio.

 

E quando è licenziato dalla vita,

lascia la postazione

dalla porta prescritta.

 

A volte un po’ lo invidio

-per fortuna mi passa.

 

***

 

Lo specchio

 

Sì, mi ricordo quella parete

nella nostra città rasa al suolo.

Si ergeva fin quasi al sesto piano.

Al quarto c’era uno specchio,

uno specchio assurdo

perché intatto, saldamente fissato.

 

Non rifletteva più nessuna faccia,

nessuna mano a ravviare chiome,

nessuna porta dirimpetto,

nulla cui possa darsi il nome

«luogo».

 

Era come durante le vacanze –

vi si rispecchiava il cielo vivo,

nubi in corsa nell’aria impetuosa,

polvere di macerie lavata dalla pioggia

lucente, e uccelli in volo, le stelle, il sole all’alba.

 

E così, come ogni oggetto fatto bene,

funzionava in modo inappuntabile,

con professionale assenza di stupore.

Videopoesia, questa sconosciuta.

Poesia. Molti la scrivono, pochi la leggono, ancora meno la ascoltano. E quasi nessuno la guarda. L’abbinamento tra immagini e parola poetica  è difficile. Se c’è una storia, illustro la storia. Se ci sono dei personaggi, li faccio vedere, li faccio muovere, li faccio parlare. Ma se la storia non c’è? O se ci sono più storie possibili, molte immagini intrecciate tra loro, indefinite, contraddittorie, fuori dalla logica comune? Il rischio di tradurle in un video è quello della semplificazione, della banalizzazione. E perché poi dovremmo farci suggerire delle visioni da qualcun altro, quando il bello della poesia è che le visioni, i pensieri, riescono a sottrarsi alle solite evidenze, seguono percorsi più nascosti e privati? Forse l’unica soluzione è che il video trovi una via tutta sua, parallela alle immagini ma individuale. Che segua e potenzi l’atmosfera delle parole, rinunciando a illustrarle, e trovando un suo personale stile. Questa è stata la scelta della videomaker Barbara Bernardi, che ha girato un video su una mia poesia, vincendo il primo premio per la sezione di videopoetry al Concorso internazionale di Letteratura Città di Cattolica.

Una curiosità: il video è stato girato in uno dei posti più affascinanti della ex Berlino est, il palazzo della Funkhaus, ora in parte chiuso al pubblico in parte adibito ad atelier di artisti, con i suoi meravigliosi studi di registrazione anni Sessanta.

Ed ecco qui il video, con la voce dell’attore Carlo Loiudice.

20 marzo/ Poesia e musica dal Lietocolle al condominio alla Ubik

[Arci - Giornalismo partecipato]

nicolettagrillo berlinoLa “nostra” Nicoletta Grillo presenta, a Como alla libreria Ubik venerdì 20 marzo alle 18, il suo libro Lettere all’amministrazione del condominio [Lietocolle, 2014]. Poesie sul lago di Como (e su tante altre cose ancora) in un incontro di musica e poesia di Como con Nicoletta Grillo, Paola Minussi (chitarra). Modera Lorenzo Morandotti. [foto Un zèbre sur la langue  della presentazione del libro a Berlino]

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Immagine tratta dal film "Oh boy"

Immagine tratta dal film “Oh boy”

 

A Berlino si mangia ad ogni ora

 

A Berlino si mangia ad ogni ora.

A Parigi i bar hanno palpebre pesanti.

C’è chi ha unghie colorate di rosso;

sul tavolo dispone bistecche

come per un solitario

gioco di scacchi

 

Sul tavolo appassiscono le voci;

lui tra poco, a casa,

cucinerà le bistecche

(nessuno saprà mai

come è grande la sua cucina).

 

A Berlino si mangia ad ogni ora.

I döner che girano nella notte,

loro conoscono ogni cosa,

loro sanno tutto. I döner che girano

nella notte e chi si intirizzisce

per due polpette.

 

Se vai a dormire

ti addormenti tranquillo

perché fuori, nel buio, qualcuno sta mangiando

e si guarda le mani e si chiede

se sono ancora intatte e per quanto e poi

chiede un tovagliolo, chiede una forchetta.

 

E quando ti svegli ti svegli

sapendo che fuori gli operai

già in pausa con i cetrioli nei panini

fumano e riflettono sul destino

dei baracchini

che hanno venduto le palpebre

 

e al mattino le mamme soffriranno

di aver perso i loro bambini

si abbracceranno nei caffè piangenti

piangendo abbracciandosi

faranno colazione e poi rideranno

e scapperanno lontano, ma torneranno al bar

per l’ora di pranzo –

 

e guardandosi intorno

giovani dalle giacche troppo larghe

stropicceranno i fazzoletti

e chiederanno

se nel riso c’è il glutammato,

 

mentre senza dirsi nulla le coppie

si divideranno le bacchette e il silenzio

se lo faranno impacchettare

per poi portarselo anche a casa,

che comunque a casa non gli servirà, se non

per un lontano futuro:

 

perché a Berlino si mangia ad ogni ora

e loro sicuramente

usciranno a cena

o anche alle cinque, per uno spuntino;

e forse c’è anche chi mangia

nascosto in cucina,

ma una persona così, qui, non l’ha conosciuta

nessuno.

 

 

Poesia tratta dalla silloge “Lettere all’amministrazione del condominio”, LietoColle, 2014.

Lettere all'amministrazione del condominio

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Zanzare e melone

Penobscot Morning

 

Una volta hai suonato al campanello

di notte con la barba lunga, zanzare e odore di melone.

Ero ignara allora non sapevo

che una barba così lunga non l’avresti avuta

mai più.

 

 

 

(Nicoletta Grillo, Lettere all’amministrazione del condominio, LietoColle, 2014)

Immagine di copertina: Alex Katz, Penobscot Morning

Lario

Senza Titolo

 

Lario

 

Non hai più labbra dure

zigomi alteri, quell’andatura

incastrata tra gli scaffali

Nelle strade serali hai chiuso

l’ultima serranda

 

Ma traluce ancora a tratti

la mobile quiete dell’acqua

la memoria di cerchi bianchi

il novembre senza sponde

 

Indulgente, tu?

No. Solo una debole

muta fratellanza nell’eco dell’asfalto

nell’avvilirsi urbano

dell’inverno, nello stridore

discorde dei giorni

 

oltre l’inconsistenza affaticata

degli adulti, le ansie

splendide dei figli

 

oltre tutti i fatti bruti

il pacato sguardo del legno

il trapestio delle voci

il docile sfuggire del tempo

sui pontili del Lario

 

Immagine di copertina di Ines Pellegrino

A passeggio per le piazze di Roma con la poetessa Patrizia Cavalli

piazza navona

Le camminate senza meta sortiscono alle volte effetti insperati. Soprattutto se si cammina per la „felice bellezza negligente“ di Roma. Evitate le „feroci piazze“, quelle di cui parla una poetessa (il riferimento esplicito è a Campo de’ Fiori) che non invitano più alla sosta ma alla fuga, offrendo uno spettacolo intasato di „tavoli, ombrelli, sediole” e magari, svicolando per altre vie, troverete librerie fornitissime dove acquistare con pochi euro libretti mignon che vi parleranno proprio della città che state visitando…

Sembra un rebus ma sto parlando di un semplice libretto dalla veste grafica essenziale, dalla copertina gialla, dal costo di euro tre, per la collana I sassi dell’editore nottetempo. Tre euro ormai a Roma è il prezzo di un gelato – senza panna, credo. Panna spirituale in abbondanza, e senza ingrassare, ne avrete invece leggendo i versi di Patrizia Cavalli di cui sto parlando: due poemetti raccolti sotto il titolo „La Guardiana“.

Il secondo poemetto, da cui sono tratti i versi che abbiamo citato all’inizio, è dedicato alle piazze di Roma. A quello che erano, ossia un vuoto che apparteneva a tutti e che invitava ad una sosta meditativa e libera, senza apericena o cappuccini: „È naturale che si vada in piazza,/ ci vanno tutti, e certo non c’è piazza / che si attraversi in fretta: quasi una timidezza / rallenta i passi alle fontane, all’acqua / che fa il suo giro e ritorna su se stessa. / La mente sosta insieme al corpo e guarda / lo spazio e l’aria del riposo, ossia / la piazza“. E a quello che sono diventate: uno spazio sequestrato, trasformato in gabbia, da riempire ad ogni costo, non importa come: „chiasso puzze concerti promozioni / i cinquemila culturali eventi / fiere-mercato libri chioschi incensi / corpi seduti o in piedi nella mischia, /perché sia tutto pieno, dura festa“.

Il primo poemetto, quello che dà il titolo alla raccolta, è invece la lieve e arguta (userei qui l’aggettivo „filosofica“, se non temessi di far scappare potenziali lettori) storia di un corteggiamento; anzi, di due: quello per una donna e quello per la poesia.

Ed è un corteggiamento- concerto di chiavi e di porte, di segreti e paradisi celati da portoni serrati, di cui bisogna trovare il punto debole, per poi scoprire che il paradiso è tale solo perché custodito, inaccessibile, e che sparisce non appena la chiave gira, e la porta si apre…

Il lento procedere dello scassinatore che non riesce a far scattare la serratura, il goffo corteggiamento con parole che non sono che le „vuote prove di un avvocato /che voglia impratichirsi del mestiere“ mirate a sciogliere la ritrosia della Guardiana, custode di „delizie talmente ineludibili e fatali / che anche la guardiana ne sarebbe persa“ è soprattutto il canto di una nostalgia, di un „balletto zoppo“ e poeticamente elegantissimo, nell’attesa del „suono che si leva da ogni chiusa / materia, che non aspetta altro / che aprirsi e darsi in dono /ma solo a chi è già pronto per quel suono“.

E verrà da sorridere anche a voi sull’umanissima comune attesa che si aprano portoni per accoglierci in stanze luminose e rivelarci tesori, mentre la verità è che “eppure lo sapevo, lo sapevo / che a quella porta non si apriva alcun mistero / era una porta una qualsiasi porta / e nel cassetto c’era quel che c’era, / e non soltanto io, chiunque lo sapeva”.

“Il mio cuore ogni volta che sente bussare / apre la porta.” Dalla Siria la poetessa Maram al Masri

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Esule dalla Siria e parigina d’adozione ormai dal 1982, la splendida cinquantenne Maram al Masri è definita poetessa della “naivité”, dell’ingenuità, poetessa delle piccole cose, dei dettagli familiari e amorosi, talvolta malinconici, talvolta sorridenti. Come in questi leggerissimi versi:

Follia

Che follia!
Il mio cuore ogni volta che sente bussare
apre la porta.

Ma al Masri e non rinuncia alla denuncia – con parole semplici, con immagini quotidiane e dirette che rispecchiano una condizione femminile  altrettanto quotidiana di  isolamento e sottomissione, di sopraffazioni e di  solitudine. Come è la sua stessa esperienza: il marito dopo la separazione le rapisce il figlio, impedendole di vederlo per ben tredici anni.

Nelle parole riportate da Deborah Marinacci per il blog threemonkeysonline. com la poetessa descrive così la sua giovinezza in Siria, paese dal quale si distacca con decisione:  “Sono una donna libera. Quando ero piccola le mie compagne me lo dicevano sempre. Allora non capivo questa libertà. Per loro era immorale perché nuotavo, ballavo, portavo delle minigonne, salutavo i ragazzi, andavo al cinema. La mia famiglia mi ha mandata a Damasco all’università. Io andavo in Inghilterra, amavo senza nascondermi un ragazzo di un’altra religione. Ho sofferto tanto. Per loro era una specie d’insulto, e per me invece era morale, onesto, non ipocrita, significava stare bene con l’altro, rispettarsi. Essere trasparenti, accordarsi con i propri pensieri.”

Dalla raccolta Anime scalze dell’editore Multimedia proponiamo una poesia che si concentra su una solitudine, tra Eleanore Rigby e L’eleganza del porcospino:

Betty

Padre: Georges
Madre: Emma
Età: 83 anni
Professione: ex istitutrice

Betty
ha una gatta
che si chiama
Katheline.
Katheline,
la gatta di Betty
è odiata da tutti
tranne che da
Betty
che non ama che
Katheline
Betty
non fa niente altro
che stare seduta davanti alla finestra
a carezzare il pelo
della sua gatta cattiva,
Katheline
Katheline
che odia tutti tranne che
Betty.
Ma Betty si ostina
a tenere ogni giorno
il suo diario intimo,
l’unica cosa che la distrae
da Katheline.

Sabato : Katheline non mangia.
Domenica : Katheline ha mangiato due topi.
Lunedì : Katheline miagola molto.
Martedì : Katheline mi guarda con amore.
Mercoledì : Katheline ha perso un po’ di pelo.
Giovedì : Katheline …
Venerdì : Katheline. Katheline. Katheline.
Katheline Katheline
Katheline Katheline Katheline
Katheline Katheline Katheline Katheline