Un libro che non basta: “Basta così” di Wisława Szymborska

Nonostante il nome difficile,  la poesia di Wisława Szymborska, autrice polacca nata nel 1923 e morta nel 2012, premio Nobel per la letteratura nel 1996, è abbastanza conosciuta: tanto che, con mia grande sorpresa, l’ho trovata citata alcune volte  su facebook da persone che non si occupano di poesia; cosa che non mi è mai successa per esempio con un altro poeta premio nobel, Tomas Transtömer. Forse perché la  poesia della Szymborska non mette paura, contrariamente a quella di altri poeti contemporanei, più cupi, o più impegnati in giochi linguistici. Non mette paura anche se i suoi componimenti sono ben lontani dall’essere semplici o consolatori: l’ironia, il gusto per la sorpresa, per il finale che spiazza, nascondono una feroce critica sociale, ma anche uno stupore filosofico (ovvero di interrogazione inesausta) davanti al mondo. Scelgo qui due poesie eblematiche di queste due tendenze dall’ultima opera, Basta così, nella traduzione di Silvano De Fanti (Adelphi, 2012).

 

C’è chi

 

C’è chi meglio degli altri realizza la sua vita.

È tutto in ordine dentro e attorno a lui.

Per ogni cosa ha metodi e risposte.

 

È lesto a indovinare il chi il come il dove

e a quale scopo.

 

Appone il timbro a verità assolute,

getta i fatti superflui nel tritadocumenti,

e le persone ignote

dentro appositi schedari.

 

Pensa quel tanto che serve

non un attimo in più,

perché dietro quell’attimo sta in agguato il

dubbio.

 

E quando è licenziato dalla vita,

lascia la postazione

dalla porta prescritta.

 

A volte un po’ lo invidio

-per fortuna mi passa.

 

***

 

Lo specchio

 

Sì, mi ricordo quella parete

nella nostra città rasa al suolo.

Si ergeva fin quasi al sesto piano.

Al quarto c’era uno specchio,

uno specchio assurdo

perché intatto, saldamente fissato.

 

Non rifletteva più nessuna faccia,

nessuna mano a ravviare chiome,

nessuna porta dirimpetto,

nulla cui possa darsi il nome

«luogo».

 

Era come durante le vacanze –

vi si rispecchiava il cielo vivo,

nubi in corsa nell’aria impetuosa,

polvere di macerie lavata dalla pioggia

lucente, e uccelli in volo, le stelle, il sole all’alba.

 

E così, come ogni oggetto fatto bene,

funzionava in modo inappuntabile,

con professionale assenza di stupore.