Il Gruppo 77 e il festival DialogArti

Dialogarti locandina

Se la montagna non va da Maometto….Ovvero: se il pubblico non si avvicina da sé alla poesia, tocca alla poesia andare dal pubblico. Scendere dalla torre d’avorio in cui spesso è relegata, interagire con i visitatori, con altre forme artistiche, e magari prendere possesso di un luogo atipico: in questo caso una ex fabbrica di cappelli e borse, Santevincenzidue, nel quartiere Cirenaica di Bologna, i cui spazi, nel fine settimana del 3-14-15 maggio 2016, saranno invasi da poesia, certo, ma anche da danza, fotografia, video…

È questa l’iniziativa del Gruppo 77, nato dall’incontro di un gruppo di persone appassionate di poesia in una storica vineria bolognese, che si propone proprio di diffondere la poesia tra il maggior numero di persone possibili e che per il secondo anno di seguito organizza un festival dall’indicativo nome di „DialogArti“. A dialogare, avvicinati dal tema comune dell’apnea esistenziale, saranno per esempio le fotografie di Mario Beltarmini, le delicate opere in fil di ferro dell’artista giapponese trapiantata a Bologna Chizu Kobayashi, l’installazione di musica, video iterattivi, poesia e danza di Premessa III” (coreografie di Sissj Bassani, Sara Magnani, Camilla Neri, musiche di Fabrizio Sirotti), solo per fare alcuni esempi.

Ospite di oggi è Alessandro Dall’Olio, uno dei fondatori del Gruppo, che ci racconta qualcosa di più:

Alessandro, come è nato il gruppo 77 e cosa ti/vi ha spinto ad occuparti attivamente di poesia?    Tre anni fa venni contattato dalla proprietaria di una enoteca (sensibile alla Cultura) per presentare i miei libri nel suo locale. Davanti alla sua gentilezza io, da perfido altruista quale sono, le chiesi: perché invece di presentare i miei libri e le mie poesie non mi dà la possibilità di fare una rassegna in modo da fare ascoltare tante voci, e non solo la mia? Sinceramente ero stufo del modo ombelicale di alcuni ambienti letterari dove il modus vivendi è “me, myself and I” oppure “Io so, voi no”. Quindi con le sole mie forze ho ideato la rassegna Portici Poetici, avvicinando le voci di chi scrive in versi a Bologna (per nascita, per domicilio o per ispirazione). Volevo che autori conosciuti e autori sconosciuti potessero incontrarsi. E soprattutto incontrassero il pubblico e lo avvicinassero. Insomma, a seguito del successo della manifestazione che si è tenuta in via S. Stefano 77 (quindi 77 come numero civico), alcuni autori e alcuni veri amanti della poesia che si sono conosciuti solo grazie alla rassegna hanno voluto continuare a trovarsi per confrontarsi, discutere, includere e conoscere. Un modo di stare insieme, di ricreare comunità, come fin dall’antichità era primo risultato del fare poesia.

Il Gruppo 77 organizza per il secondo anno il festival DialogArti: ci puoi spiegare di cosa si tratta?    Con Il Gruppo 77 abbiamo sempre cercato di portare i nostri reading/spettacoli al maggior pubblico possibile nel miglior modo possibile, affiancando al valore letterario dei nostri versi altre forme artistiche: videoproiezioni, musica dal vivo, danza… Si sa, in tanti ambienti – culturali e non – quasi tutto è egoriferito: i poeti parlano solo con i poeti, i musicisti parlano solo con i musicisti, gli imbianchini parlano solo con gli imbianchini, i cuochi con i cuochi. Ho sempre cercato di far sì, invece, che tutti potessero parlare con tutti e non restringessero ancora il nostro comune vivere in gabbie egoistiche e recinti autoeretti. Il linguaggio poetico abbraccia tutti i modi e le possibilità, e in questo periodo in cui opportunismo, egoismo e snobismo sono quasi un esercizio quotidiano, la poesia ha il dovere di scendere per le strade e invitare alla delicatezza nelle relazioni umane. Quando ho pensato all’ideazione e alla progettazione di DialogArti per me è stata la naturale conseguenza del lavoro fatto con il Gruppo 77: organizzare un festival sulla possibilità di vicinanza e condivisione – attraverso la Poesia – delle differenti forme artistiche che si fondono, mediante il filo conduttore delle arti che si parlano, si coinvolgono, si contaminano. Fotografi, artisti visivi, ballerine, videomaker, scultori, street-artist, musicisti, che si riuniscono nello stesso magnifico spazio espositivo e dialogano tra loro. Viviamo in un clima sociale di perenne conflitto, ma è nell’incontro con l’altro che si forma il pensiero. Non certo restando sulla propria polverosa poltrona a sentenziare dei mali letterari dei nostri tempi, senza fare nulla oltre a criticare inutilmente e sterilmente. Trovare bei luoghi e avvicinare la gente è sempre un bel gesto, secondo me. In fondo la radice della parola poesia è poiein: fare. Se siamo poeti, onoriamone almeno la forza evocativa dell’etimo. Dialogarti danza

Secondo te esistono arti che “dialogano” meglio le une con le altre? E  qual è stato il vostro criterio di scelta per le forme artistiche del festival? Non ci sono, credo, arti che dialogano meglio tra di loro. Credo che ci siano artisti capaci di guardare oltre il proprio palmo di naso e conseguentemente capaci di dialogare. Quest’anno, ad esempio, un tema comune attraversa il Festival DialogArti: l’apnea esistenziale, il respiro corto della società. E devo dire che tutti gli artisti presenti sono stati entusiasti nell’accogliere questo “terreno comune”. Ho già visto in fase di allestimento menti e cuori perfettamente allineati. La bellezza, il rapporto adeguato tra contenuto e contenente, è ciò che incoraggia il dialogo e uindi la riflessione.

Quali sono le altre iniziative del Gruppo 77? In questi tre anni abbiamo organizzato, ideato e allestito circa 70 eventi in giro per l’Italia. “La geografia un destino” sulle ragioni dei migranti l’abbiamo rappresentata tre volte, in Emilia Romagna e in Veneto, lo spettacolo “Poeros” – che è divenuto anche una raccolta poetica edita da Samuele Editore – quattro volte (a Bologna, a San Mauro Pascoli, durante il Festivaletteratura di Mantova e a Trieste), e tanto altro ancora. Ad onore del cammino che condivido con chi segue gli importanti passi del Gruppo 77, ci tengo a sottolineare che lo scorso anno siamo stati l’unico gruppo poetico italiano ad essere invitato – e magnificamente accolto – al Festival Mondiale di Letteratura di Cork, in Irlanda. Il 21 maggio, il fine settimana subito dopo DialogArti, partiremo per Mantova dove il Festival Internazionale di Poesia Virgilio ci accoglierà per il secondo anno consecutivo.

Come reagisce secondo la tua esperienza il pubblico alle performance di poesia?La poesia regala un’ampiezza espressiva molto più vasta della realtà stessa, dal presente si consegna al futuro, perché alla fine potrebbe rimanerci solo la nostalgia di una vita sprecata e di tante occasioni perdute. Allora, almeno che rimanga quello che di veramente buono abbiamo fatto allargando le braccia per accogliere e distendendo i sorrisi sui volti. Avvicinando con i fatti chi ci sembrava distante. La poesia dovrebbe creare varchi, spazi di aperture, gentili respiri di prospettive. Portare nelle nostre vite un supplemento di significato. Conoscenza e riconoscenza. Qualsiasi opera, letteraria o artistica, ha bisogno di trasmittente e ricevente, gli artisti e il pubblico. Senza chi ti legge o chi ti ascolta l’opera è muta, incompiuta. Come disse il poeta e saggista Gianmario Lucini: “Non si scrive per i propri cassetti. Si scrive solo perché qualcuno ci legga”. La poesia ha tante espressioni e mutazioni, evoluzioni e involuzioni. Ma credo che il pubblico (eventuale) vada sempre rispettato e non preso in giro. Quando dici a qualcuno che scrivi poesie la prima reazione è spesso: “Voi poeti pensate sempre al suicidio!”, “Siete sempre tristi e scrivete parole in fila a caso…”, “L’ultima volta che sono stato a una lettura di poesia c’era uno che si sdraiava per terra e un altro girato di spalle che emetteva suoni…”. La responsabilità di questi luoghi comuni è di chi ha contribuito a mandare questi messaggi e facendolo ha allontanato le persone da questa straordinaria forma letteraria. Chiudendo porte, anziché aprirle. Usando l’incomunicabilità o il nonsense come elemento elitario e saccente. Maria Luisa Spaziani (poetessa tre volte candidata al Nobel) lo diceva: “Non perdonerò mai a certe avanguardie letterarie di avere promosso l’inintelleggibilità come elemento distintivo, allontanando definitivamente tanti giovani dalla poesia”. Qual è allora il valore letterario? E’ quando qualche parente o qualche recensore amico ti dice che il tuo libro è bello o quando persone a te sconosciute si avvicinano ai tuoi versi conquistati veramente dal tuo scrivere? Per parte mia non avrei dubbi nel scegliere sempre la seconda ipotesi. Perché i poeti sanno ridere, sanno vivere e sanno stare assieme.

Dialogarti artista giapponese

opera dell’artista Chizu Kobayashi

Il festival Dialogarti si svolgerà il13-14-15 maggio 2016 al loft Santevincenzidue (via Sante Vincenzi 2, quartiere Cirenaica).

La pagina web del Gruppo 77 e sue iniziative è questa
http://www.gruppo77poesia.it

La pagina facebook è: https://www.facebook.com/DialogArti-206557116376670/?fref=nf

Qui un link a uno dei video di presentazione del Festival

 

Le parole necessarie

Segnalo qui un evento che mi sta particolarmente a cuore. Ho sempre pensato che la poesia abbia l’incarico di dire il dolore – dirlo là dove non si vorrebbe guardare, dove si preferisce far finta di niente, o usare finte parole consolatorie. E la poesia sa dire anche la m12983942_1095500090512989_2539945790213310222_oalattia, trovare parole per l’innominabile e in questo modo renderlo condivisibile. L’iniziativa “Le parole necessarie” del Centro di poesia di Bologna nasce proprio per questo: dare voce al mondo solo apparentemente muto e asettico degli ospedali, a chi ci lavora, a chi ci soffre, alle famiglie dei malati. Il Laboratorio di Poesia sarà tenuto da Tommaso Di Dio (un poeta che tra l’altro mi piace molto, spero di avere occasione di parlarne presto). L’appuntamento sarà ogni martedì dal 10 al 31 maggio alle ore 17.00 presso il Padiglione 23 del Policlinico di Sant’Orsola.

Un libro che non basta: “Basta così” di Wisława Szymborska

Nonostante il nome difficile,  la poesia di Wisława Szymborska, autrice polacca nata nel 1923 e morta nel 2012, premio Nobel per la letteratura nel 1996, è abbastanza conosciuta: tanto che, con mia grande sorpresa, l’ho trovata citata alcune volte  su facebook da persone che non si occupano di poesia; cosa che non mi è mai successa per esempio con un altro poeta premio nobel, Tomas Transtömer. Forse perché la  poesia della Szymborska non mette paura, contrariamente a quella di altri poeti contemporanei, più cupi, o più impegnati in giochi linguistici. Non mette paura anche se i suoi componimenti sono ben lontani dall’essere semplici o consolatori: l’ironia, il gusto per la sorpresa, per il finale che spiazza, nascondono una feroce critica sociale, ma anche uno stupore filosofico (ovvero di interrogazione inesausta) davanti al mondo. Scelgo qui due poesie eblematiche di queste due tendenze dall’ultima opera, Basta così, nella traduzione di Silvano De Fanti (Adelphi, 2012).

 

C’è chi

 

C’è chi meglio degli altri realizza la sua vita.

È tutto in ordine dentro e attorno a lui.

Per ogni cosa ha metodi e risposte.

 

È lesto a indovinare il chi il come il dove

e a quale scopo.

 

Appone il timbro a verità assolute,

getta i fatti superflui nel tritadocumenti,

e le persone ignote

dentro appositi schedari.

 

Pensa quel tanto che serve

non un attimo in più,

perché dietro quell’attimo sta in agguato il

dubbio.

 

E quando è licenziato dalla vita,

lascia la postazione

dalla porta prescritta.

 

A volte un po’ lo invidio

-per fortuna mi passa.

 

***

 

Lo specchio

 

Sì, mi ricordo quella parete

nella nostra città rasa al suolo.

Si ergeva fin quasi al sesto piano.

Al quarto c’era uno specchio,

uno specchio assurdo

perché intatto, saldamente fissato.

 

Non rifletteva più nessuna faccia,

nessuna mano a ravviare chiome,

nessuna porta dirimpetto,

nulla cui possa darsi il nome

«luogo».

 

Era come durante le vacanze –

vi si rispecchiava il cielo vivo,

nubi in corsa nell’aria impetuosa,

polvere di macerie lavata dalla pioggia

lucente, e uccelli in volo, le stelle, il sole all’alba.

 

E così, come ogni oggetto fatto bene,

funzionava in modo inappuntabile,

con professionale assenza di stupore.

Videopoesia, questa sconosciuta.

Poesia. Molti la scrivono, pochi la leggono, ancora meno la ascoltano. E quasi nessuno la guarda. L’abbinamento tra immagini e parola poetica  è difficile. Se c’è una storia, illustro la storia. Se ci sono dei personaggi, li faccio vedere, li faccio muovere, li faccio parlare. Ma se la storia non c’è? O se ci sono più storie possibili, molte immagini intrecciate tra loro, indefinite, contraddittorie, fuori dalla logica comune? Il rischio di tradurle in un video è quello della semplificazione, della banalizzazione. E perché poi dovremmo farci suggerire delle visioni da qualcun altro, quando il bello della poesia è che le visioni, i pensieri, riescono a sottrarsi alle solite evidenze, seguono percorsi più nascosti e privati? Forse l’unica soluzione è che il video trovi una via tutta sua, parallela alle immagini ma individuale. Che segua e potenzi l’atmosfera delle parole, rinunciando a illustrarle, e trovando un suo personale stile. Questa è stata la scelta della videomaker Barbara Bernardi, che ha girato un video su una mia poesia, vincendo il primo premio per la sezione di videopoetry al Concorso internazionale di Letteratura Città di Cattolica.

Una curiosità: il video è stato girato in uno dei posti più affascinanti della ex Berlino est, il palazzo della Funkhaus, ora in parte chiuso al pubblico in parte adibito ad atelier di artisti, con i suoi meravigliosi studi di registrazione anni Sessanta.

Ed ecco qui il video, con la voce dell’attore Carlo Loiudice.

20 marzo/ Poesia e musica dal Lietocolle al condominio alla Ubik

[Arci - Giornalismo partecipato]

nicolettagrillo berlinoLa “nostra” Nicoletta Grillo presenta, a Como alla libreria Ubik venerdì 20 marzo alle 18, il suo libro Lettere all’amministrazione del condominio [Lietocolle, 2014]. Poesie sul lago di Como (e su tante altre cose ancora) in un incontro di musica e poesia di Como con Nicoletta Grillo, Paola Minussi (chitarra). Modera Lorenzo Morandotti. [foto Un zèbre sur la langue  della presentazione del libro a Berlino]

View original post

Pier Paolo Pasolini a Berlino

Pier Paolo Pasolini  e Anna Magnani

Pier Paolo Pasolini e Anna Magnani

„Occhi, tornate occhi! Io riconosco / ciò che conobbi: sole e solitudine“.

Pier Paolo Pasolini è una figura tuttora per certi versi abbagliante, incandescente: non solo per la sua centralità politica, intellettuale, per l’essere stato la coscienza critica di un’epoca, ma per la temperatura altissima del coinvolgimento personale che traspare da ogni sua opera, unita a una freddissima lucidità.

A Berlino il Martin Gropius Bau ospita una mostra itinerante (già stata a Roma e prossimamente a Parigi e Barcellona) dedicata a Pasolini e al suo viscerale rapporto con Roma. Una mostra purtroppo tanto ricca di materiale quanto povera di spiegazioni. La figura dell’intellettuale, poeta, romanziere, regista (e pittore) è restituita con un’abbondanza di spezzoni, fotografie e materiale d’archivio, ma con pochissime tavole esplicative che li contestualizzino.

Il risultato è quello di una mostra difficile, che lascia ai non addetti ai lavori tanti punti interrogativi, e che rende la complessità di Pasolini ancora più inaccessibile per chi già non la conosca approfonditamente – e non conosca altrettanto bene l’ambiente politico e culturale italiano di quegli anni. Piccolo esempio: i carteggi non vengono accompagnati da nessuna presentazione, nemmeno breve, della figura del destinatario; Pasolini polemizza con Ennio Flaiano, ma se un visitatore non esperto di letteratura italiana (e suppongo che saranno parecchi, in Germania) ignori chi esso sia, continuerà a ignorare anche il perché e il percome della polemica.

Unico vero intervento riassuntivo ed esplicativo dei curatori: una tavola sinottica con tutti i processi intentati contro Pier Paolo Pasolini, una tavola impressionante per quanto fitta, a spiegare la condizione di perseguitato a cui Pasolini si sentiva condannato (i versi che aprono questo post sono tratti dalla poesia intitolata “La persecuzione).

Vale invece la pena di prendersi un po’ di tempo e visitare la Roma virtuale di Pasolini nel sito internet della mostra, ricco di informazioni e immagini:

http://www.pasoliniroma.com/#!/it/map/17

Pasolini Roma sarà a Berlino al Martin Gropius Bau fino al 5 gennaio:

http://www.berlinerfestspiele.de/de/aktuell/festivals/gropiusbau/programm_mgb/mgb14_pasolini/ausstellung_pasolini/veranstaltungsdetail_88022.php

Per finire in poesia, in malinconica e solitaria bellezza,  proponiamo una poesia che nella mostra si può sentire letta da Giorgio Bassani, e qui da Laura Betti: Marilyn

https://www.youtube.com/watch?v=hdaLHNZkzYw

Chiusi per ferie

Mi hanno raccontato di un tempo legendario; tempo in cui nelle città si sentiva solo il rumore del vento caldo e delle cartacce che rotolavano per le strade; dove i pochi bambini rimasti chiudevano gli occhi e si mettevano ad aspettare in piedi nel mezzo delle strisce pedonali, col cuore in gola, per dimostrare il proprio coraggio, ma non succedeva mai niente, solo il silenzio aumentava nelle orecchie fino a scoppiare; un tempo dove i vecchi si mettevano per strada, all’alba, a cercare un lattaio aperto, prima che il caldo diventasse insostenibile; dove al mare invece si affollavano corpi e corpi e ogni piazzola era occupata da tende e nessuno era raggiungibile dal proprio capo, dall’ufficio, o dai clienti, perché nessuno aveva il cellulare e tantomeno un computer; e tutti erano occupati a fare parole crociate e ad abbronzarsi, e poi si scendeva tutti oliati e fritti fino al mare; e i bambini si annoiavano e torturavano le cicale e si allenavano a camminare a piedi nudi sui ciotoli bollenti della spiaggia; e i genitori litigavano con i vicini di tenda e poi la sera si friggeva, tutti insieme, sotto lampioncini di carta; e questo per un lungo, interminabile, incredibile mese che era come fare un viaggio su un altro pianeta. Quindi, in onore di questo tempo leggendario e favoloso, questo blog sarà

 CHIUSO PER FERIE DAL 15 LUGLIO AL 15 DI AGOSTO. In caso di urgenze rivolgersi alla libreria più vicina. Vi auguriamo buone vacanze.

“Non fuggirò a Nord, Dio”. La poesia del palestinese Najwan Darwish

bashir vero

Lui si chiama Najwan Darwish ed è una delle voci più interessanti della poesia araba contemporanea.  È palestinese; le sue poesie parlano di oppressori ed oppressi, di una quoditianità fatta di bombardamenti, di una normalità stranita e surreale, amarissima. E lo fa con un tocco inconfondibile, con un’ironia lucida e spiazzante. Quando lo incontriamo al festival di poesia di Tunisi dice di non voler scrivere poesia dichiaratamente politica, ma che lo scrittore è, come tutti, preso nel mondo, e che non può fare a meno di parlarne. Ci descrive le difficoltà che incontra ogni volta che esce da Gerusalemme per la sua attività di poeta e giornalista, degli interminabili interrogatori in aeroporto. Racconta e ride: è l’ironia la dignità più forte.

Nato nel 1978 da genitori palestinesi esiliati a Gerusalemme, Darwish ha esordito nel 2000. Le sue poesie sono tradotte in 19 lingue.

Le traduzioni che presento qui sono dal francese e dall’inglese, dalle raccolte Nothing more to lose (NYRB 2014),  e Je me lèverai un jour (Al-Feel, 2012).Spero che presto qualche arabista ci pensi lui…

 

Sonno a Gaza

 Fado, dormirò come si dorme

quando gli aerei bombardano

e l’aria si lacera

come carne viva

Sognerò dunque di tradimenti

come si sogna dormendo

quando gli aerei bombardano

 

A mezzogiorno mi sveglierò

per interrogare la radio

come fanno tutti gli altri:

C’è una tregua? Quanti morti?

 

Ma la mia tragedia, Fado,

è che ci sono due tipi di persone:

Quelle che buttano le loro sofferenze

e i loro peccati in mezzo alle strade

per potersi addormentare

E quelli che fondono le sofferenze

e i peccati in forma di croce

e la portano in processione

per le strade di Babilonia, di Gaza e di Beirut

gridando: Ancora!

Ancora!

 

Due anni fa camminavo

per le strade di Dahieh

alla periferia sud di Beirut

e trascinavo una croce grossa

come le macerie di un palazzo

Ma ora, chi toglierà la croce

dalla schiena di un uomo sfinito a Gerusalemme?

 

La terra: tre chiodi

E la misericordia: un manganello.

Colpisci, Dio,

colpisci con gli aerei

Ancora!

 

 

Il bus degli incubi

Li ho visti infilare le mie zie

in sacchi di plastica nera

dove il loro sangue caldo

si accumulava in pozze

(Ma io non ho zie)

Ho saputo che hanno ucciso Natasha,

mia figlia di tre anni

(Ma io non ho figlie)

Mi è stato detto che hanno violentato mia moglie

l’hanno trascinata per le scale e poi lasciata per la strada

(Ma io non sono sposato)

Non c’è dubbio, gli occhiali che i loro stivali

hanno fatto a pezzi sono proprio i miei

(Ma io non porto occhiali)

Dormivo a casa dei miei genitori

e sognavo di andare da lei. Al risveglio

ho visto i miei fratelli

impiccati al soffitto

della chiesa del Santo Sepolcro

Mosso a pietà, Dio diceva: „Questo

è il mio dolore“.

Io raccoglievo l’orgoglio degli impiccati e dicevo:

„No, è il nostro!“

 …

Il dolore illumina e mi diventa più caro

dei miei stessi incubi.

….

Non fuggirò a Nord

Dio

Non mettermi tra quelli che cercano

un rifugio

 

-continueremo più tardi a fare questi conti

 

Adesso è ora di andare a dormire

non voglio essere in ritardo per il bus

degli incubi che va a Sabra e Shatila…

 

Il paradiso

 Ci risvegliammo un giorno in paradiso

e gli angeli ci colsero di sorpresa

brandendo contro di noi strofinacci

e manici di scopa

– Il vostro alito odora di alcol

le vostre tasche sono tutte piene

di poemi e di eresie…

 

-Calmatevi, servitori di Dio, gli abbiamo detto:

desideravamo solo passare una mattina

ad Haifa. I nostri sogni ci hanno portato qui

per errore.

 

 

Chi si ricorda degli Armeni?

 Io mi ricordo di loro:

con loro ogni notte

salgo sul bus degli incubi

con loro stamattina

bevo il mio caffè.

 

Ma voi, assassini –

Chi si ricorda di voi?

 

Maria

 Ultimamente mia madre è ossessionata

dai libri su Gesù. Vicino al suo letto pile

di volumi, spesso presi in prestito

dalla mia biblioteca: romanzi, manuali, confessioni,

autori in polemica tra loro. Se mi capita di passare

vicino alla sua stanza, subito mi chiama perché

io intervenga a dirimere le loro questioni.

(Poco tempo fa, ho soccorso uno storico di nome Kamal Salibi

a cui una pietra cattolica aveva squarciato la fronte)

Prende le sue ricerche su Gesù molto sul serio,

questa donna che ho sempre deluso – non sono caduto

martire ai tempi della prima Intifada, né nella seconda,

e nemmeno nella terza.

Detto tra noi, non cadrò martire in nessuna

delle prossime intifada.

E non morirò ucciso da una cicogna imbottita di esplosivo.

Lei legge e la sua immaginazione ortodossa mi

crocifigge ad ogni pagina

E io non faccio nient’altro che rifornirla

di libri e di chiodi!

 

Come questi alberi

 Gli alberi oscillano

ben attenti a non cadere

Perché se gli alberi cadono,

la terra qui non li accoglie:

né lei né nessun altro.

E visto che gli alberi

non riescono più a sopportare il marcire delle radici

visto che hanno scelto di diventare alti nel vento

devono pagarne il prezzo e cadere senza fine.

 

E per questo, ti prego, quando cammini in bilico

sui marciapiedi, stai attento

perché anche tu cadrai senza fine

 

Non c’è niente di male ad immaginare alberi

che si dondolano assieme a te

e un vento che ti prende al volo mentre cadi

Tu che hai vissuto come questi alberi,

senza terra

né radici.

 

L’immagine  è tratta dal film “Waltz with Bashir” di Ari Folman.

“And remember: smile not terrorist”. Rafeef Ziadah

Ci sono numeri che contano (per esempio i goal fatti in una partita) e numeri che non contano (per esempio i  “danni collaterali” uccisi a Gaza). Poi c’è la poesia.

 

Today, my body was a TV’d massacre.

Today, my body was a TV’d massacre that had to fit into sound-bites and word limits.

Today, my body was a TV’d massacre that had to fit into sound-bites and word limits filled enough with statistics to counter measured response.

And I perfected my English and I learned my UN resolutions.

But still, he asked me, Ms. Ziadah, don’t you think that everything would be resolved if you would just stop teaching so much hatred to your children?

I look inside of me for strength to be patient but patience is not at the tip of my tongue as the bombs drop over Gaza.

Patience has just escaped me.

Pause. Smile.

We teach life, sir.

Rafeef, remember to smile.

We teach life, sir.

We Palestinians teach life after they have occupied the last sky.

We teach life after they have built their settlements and apartheid walls, after the last skies.

We teach life, sir.

But today, my body was a TV’d massacre made to fit into sound-bites and word limits.

And just give us a story, a human story.

You see, this is not political.

We just want to tell people about you and your people so give us a human story.

Don’t mention that word “apartheid” and “occupation”.

This is not political.

You have to help me as a journalist to help you tell your story which is not a political story.

Today, my body was a TV’d massacre.

How about you give us a story of a woman in Gaza who needs medication?

How about you?

Do you have enough bone-broken limbs to cover the sun?

Hand me over your dead and give me the list of their names in one thousand two hundred word limits.

Today, my body was a TV’d massacre that had to fit into sound-bites and word limits and move those that are desensitized to terrorist blood.

But they felt sorry.

They felt sorry for the cattle over Gaza.

So, I give them UN resolutions and statistics and we condemn and we deplore and we reject.

And these are not two equal sides: occupier and occupied.

And a hundred dead, two hundred dead, and a thousand dead.

And between that, war crime and massacre, I vent out words and smile “not exotic”, “not terrorist”.

And I recount, I recount a hundred dead, a thousand dead.

Is anyone out there?

Will anyone listen?

I wish I could wail over their bodies.

I wish I could just run barefoot in every refugee camp and hold every child, cover their ears so they wouldn’t have to hear the sound of bombing for the rest of their life the way I do.

Today, my body was a TV’d massacre

And let me just tell you, there’s nothing your UN resolutions have ever done about this.

And no sound-bite, no sound-bite I come up with, no matter how good my English gets, no sound-bite, no sound-bite, no sound-bite, no sound-bite will bring them back to life.

No sound-bite will fix this.

We teach life, sir.

We teach life, sir.

We Palestinians wake up every morning to teach the rest of the world life, sir

 

(Trascrizione dal blog: blissonature.wordpress.com)

Poesia e corpo femminile: Amel Moussa

Amel Moussa

Poesia al femminile, poesia del corpo: la tunisina Amel Moussa non si stanca di tracciare e riscrivere con morbida ironia la geografia del corpo e della sensibilità femminile. Ma questo atto apparentemente leggero, giocosamente erotico, sottolinea a sottolineare Amel Moussa (che è anche sociologa), rappresenta un atto dirompente in una cultura dominata dall’uomo come quella tunisina. È l’uomo che scrive ed impone i canoni della scrittura e della vita quotidiana; e mettere al centro della scrittura il corpo femminile significa affrontare un tabù e compiere un gesto di sfida.

Nata a Tripoli nel 1971, ma trasferitasi giovanissima in Tunisia, Amel Moussa ha vinto in Italia il premio Lerici Pea. L’editore San Marco dei Giustiniani ha pubblicato La femmina dell’acqua nel regno del sé nel 2003.

La poesia che presentiamo oggi è tratta da Non ho peccato abbastanza – Antologia di poetesse arabe contemporanee, a cura di V. Colombo, Mondadori, 2007.

DONNA D’ACQUA

L’acqua non è scivolata verso di noi
ardendo con la violenza della sete.

Perché l’acqua segue le mie tracce
dimentica dei sui canali
e delle pianure alluvionali?

Perché non poggio il mio viso
sull’orlo dell’acqua
per sapere
come ha potuto nasconderci il suo colore,
come le abbiamo fatto perdere l’odore?

Perché non divento il segreto dell’acqua?
Perché non divento femmina per il suo maschio,
e lo aspetto nella caraffa
fino al sopraggiungere dell’estate?