Poesia e corpo femminile: Amel Moussa

Amel Moussa

Poesia al femminile, poesia del corpo: la tunisina Amel Moussa non si stanca di tracciare e riscrivere con morbida ironia la geografia del corpo e della sensibilità femminile. Ma questo atto apparentemente leggero, giocosamente erotico, sottolinea a sottolineare Amel Moussa (che è anche sociologa), rappresenta un atto dirompente in una cultura dominata dall’uomo come quella tunisina. È l’uomo che scrive ed impone i canoni della scrittura e della vita quotidiana; e mettere al centro della scrittura il corpo femminile significa affrontare un tabù e compiere un gesto di sfida.

Nata a Tripoli nel 1971, ma trasferitasi giovanissima in Tunisia, Amel Moussa ha vinto in Italia il premio Lerici Pea. L’editore San Marco dei Giustiniani ha pubblicato La femmina dell’acqua nel regno del sé nel 2003.

La poesia che presentiamo oggi è tratta da Non ho peccato abbastanza – Antologia di poetesse arabe contemporanee, a cura di V. Colombo, Mondadori, 2007.

DONNA D’ACQUA

L’acqua non è scivolata verso di noi
ardendo con la violenza della sete.

Perché l’acqua segue le mie tracce
dimentica dei sui canali
e delle pianure alluvionali?

Perché non poggio il mio viso
sull’orlo dell’acqua
per sapere
come ha potuto nasconderci il suo colore,
come le abbiamo fatto perdere l’odore?

Perché non divento il segreto dell’acqua?
Perché non divento femmina per il suo maschio,
e lo aspetto nella caraffa
fino al sopraggiungere dell’estate?

Nuotando tra gli animali e i miti nell’acquario del poeta Jeffrey Yang

 

 

Immagine di copertina di Ein Aquarium

Non sul fondo del mare, ma tra gli scaffali di una delle librerie meglio fornite di Berlino (Dussmann, nella Friedrichstrasse) ho trovato uno di quei libri che si prospettano come piccole delizie: per la grafica, il verde acqua rinfrescante della copertina, e per la precisa delicatezza del contenuto.

„An aquarium“ è un acquario di versi dal tema a tutta prima velleitario: dalla A alla Z della fauna marina, dagli anemoni alla zooxanthella. Ma dietro l’arbitrarietà del tema e dietro l’apparente aridità della classificazione si nasconde uno sguardo filosofico, la capacità di accennare in brevi versi alla complessità del piccolo, di seguire e creare connessioni con la mitologia legata all’oceano e con il mondo dell’umano. Il poeta, traduttore dal cinese e redattore Jeffrey Yang, nato nel 1974, anima il suo acquario di richiami filosofici (da Aristotele, a Spinoza, alla filosofia orientale), di accenni teologici, ma anche di personaggi storici come Garibaldi, o di brevi, spiritose descrizioni come queste:

 

EEL

Eels are slimy creatures.

But never lie. If they sense

the slightest pretence, they’ll

bite off your finger. Carefully

study the hands of politicians.

 

ANGUILLA

Le anguille sono creature viscide.

Ma non mentono mai. Se fingi,

subito se ne accorgono: con un

morso ti staccano il dito. Osserva

attentamente le mani dei politici.

 

Dolphins

The Greeks thought dolphins

were once men. The Chinese

river dolphin was a goddess.

Scientists tell us that if we

rearrange a few of our genes,

we’d become dolphins. Wouldn’t

that be real progress!

 

 

Delfini

I delfini un tempo erano uomini,

pensavano i Greci. Per i cinesi

il delfino d’acqua dolce era una dea.

La scienza ci dice: riorganizzando

appena un paio dei nostri geni

diventeremmo delfini. Questo sì

sarebbe un vero progresso!

 

L’edizione a cui ci riferiamo, in tedesco con originale a fronte, è “Ein Aquarium”, ed. Berenberg

Jeffrey Yang

 

La “terra impareggiabile” di Sicilia: via dalle aule scolastiche per passeggiare con Salvatore Quasimodo.

 lavventura12

Alla prova della maturità di oggi una poesia di Salvatore Quasimodo. Il nome di Quasimodo è legato, nell’animo di tutti gli studenti italiani, ad un certo sentimento di gratitudine: per essere autore di una delle poesie più brevi e più facili da imparare a memoria di tutto il curriculum scolastico (non la cito, sarebbe troppo facile). È il bello dell’ermetismo: dire molto con poco.

La lirica proposta oggi, tratta da “Ed è subito sera”, è poco più lunga e dolcemente legata ad un paesaggio mediterraneo. Chissà se sarebbe stato più facile, per qualcuno degli studenti, interpretare la poesia conoscendo i luoghi che il poeta aveva in mente scrivendo.

La possibiltà c’è: al siciliano Salvatore Quasimodo è stato dedicato un parco letterario nella sua città natale, Modica, in provincia di Ragusa. Una buona occasione per unire cioccolato, barocco e percorsi che si snodano a partire dalla casa natale del poeta, legatissimo alla Sicilia, che definiva “terra impareggiabile”: per lui, trasferitosi già durante gli studi universitari nel Nord Italia, una Sicilia di nostalgia, di mito e di sogno, Sicilia di lontananze e di paesaggi impregnati ancora di Magna Grecia (se volete leggere di un’altra Sicilia, descritta da un altro siciliano trasferito a Milano e anche cognato di Quasimodo: le meravigliose “Conversazioni in Sicilia” di Elio Vittorini).

Informazioni, molto concrete, sul parco letterario dedicato a Quasimodo, sono qui:

http://www.parchiletterari.com/parchi/quasimodo/index.php

http://www.parcoquasimodo.it/contattaci.htm

E ovviamente non può mancare la poesia della maturità. Se la volete leggere con un buon apparato critico e le famose note a piè di pagina, vi consiglio il sito della Treccani: http://www.treccani.it/magazine/strumenti/una_poesia_al_giorno/10_01_quasimodo_salvatore.html.

Se invece volete avere un esempio di analisi del testo come ci si aspetta che sia, ed avere un esempio scolastico di come sbadigliare abbondantemente su una poesia prendendo buoni voti, il sito fanpage mette a disposizione un analisi del testo da dieci e lode. http://www.fanpage.it/analisi-del-testo-svolta-quasimodo/

E finalmente Quasimodo:

Ride la gazza, nera sugli aranci

Forse è un segno vero della vita:
intorno a me fanciulli con leggeri
moti del capo danzano in un gioco
di cadenze e di voci lungo il prato
della chiesa. Pietà della sera, ombre
riaccese sopra l’erba così verde,
bellissime nel fuoco della luna!
Memoria vi concede breve sonno; …
ora, destatevi. Ecco, scroscia il pozzo
per la prima marea. Questa è l’ora:
non più mia, arsi, remoti simulacri.
E tu vento del sud forte di zàgare,
spingi la luna dove nudi dormono
fanciulli, forza il puledro sui campi
umidi d’orme di cavalle, apri
il mare, alza le nuvole dagli alberi:
già l’airone s’avanza verso l’acqua
e fiuta lento il fango tra le spine,
ride la gazza, nera sugli aranci.

(Immagine tratta da “L’avventura” di Michelangelo Antonioni).

L’ospite del lunedì: poesia e magia per Agata Spinelli

damm - di Andrea Nisticò

Parlavo pochi giorni fa con un’amica amante della lettura, che mi raccontava della difficoltà, sua e di molti, di avvicinarsi alla poesia.

Come se leggere liriche fosse un’impresa ardua, per pochi eletti; una specie di scalata a cui possono accedere solo persone allenate e dalla volontà di ferro. Colpa della scuola, forse, e di come seppellisce il piacere del testo attraverso pesanti apparati critici; o anche di una certa moda per cui l’essere inintelligibile è segno elitario di virtù.

Non è il caso delle poesie di Agata Spinelli, giovane poeta pugliese trapiantata a Berlino e nostra ospite di oggi, che ci racconta: „Mi ha detto una volta un poeta, che la poesia è come la magia. Ed è vero. È come andare a vedere lo spettacolo di un mago illusionista bravissimo. Sei concentratissimo, lo show ha un effetto incantatorio, come la musica che tira fuori i serpenti dalla teca. Tu ti senti incantato e allo stesso tempo cerchi di concentrarti per capire dove sta il trucco. E nonostante il trucco, senti che ad essere svelato è un altro pezzo di verità. A cui non saresti arrivato da solo. Ha un effetto ipnotico e anche di grande focalizzazione. Se vi piacciono gli spettacoli di magia, quelli fatti ad arte….“

Poesia come magia quindi, come piccolo incanto quotidiano. Ed ecco due sue poesie – oggi abbinate ad un’immagine del fotografo Andrea Nisticò.

 

Nel sogno io indosso

un vestito di tulle bianco

una medusa diventa

quando l’acqua sale  fino al collo

e galleggia  nel confondersi

alla schiuma delle onde.  D’un tratto

non si distingue né il mare

né la donna né il vestito

 

di tulle bianco

 

***

 

Il cuore come un bambino scalcia

con ritmi irregolari mentre fuori

si alternano giorni di primavera

a giorni d’autunno come se il sole

svogliato pure scalciasse e io

vigile e fiera impero sulla mia

inquietudine, placenta,

cassa mortuaria.

 

Agata, sei arrivata dalla Puglia a Berlino, passando per Londra e per diverse città italiane. Qual è la tua città poetica per eccellenza?

 Voglio sperare che sia Lisbona. Il sogno di andarci lo covo da tempo, spero di realizzarlo nei prossimi dodici mesi. Quello che sento è che deve essere una specie di Napoli (città in cui ho vissuto e che amo moltissimo) senza però gli aspetti viscerali/nocivi della napoletanità. E poi con l’oceano. E infine proprio per spaziare, oltre alle città, il mio luogo poetico per eccellenza è la campagna pugliese.

Poesia o prosa: ci puoi consigliare un libro?

L’arte della gioia di Goliarda Sapienza.

Finiamo con una domanda ormai rituale: quali sono i primi versi di una canzone o di una poesia che ti vengono in mente?

“When you were here before/couldn’t look you in the eye/you’re just like an angel/your skin makes me cry”. Questa è creep dei Radiohead. La mia adolescenza, gli anni ’90.

 

Agata Spinelli è nata nel 1979 in provincia di Bari. ha cominciato a scrivere nel 2004. Alcuni suoi testi sono apparsi tra il 2006 e il 2007 sulla rivista d’arte e letteratura Passages e su Specchio de La Stampa. Nel 2007 è tra i finalisti della sezione giovani del premio “Cetonaverde Poesia” e nel 2008 partecipa alla Biennale dei Giovani artisti d’Europa e del Mediterraneo, nella sezione letteratura. Negli stessi anni è attiva con il gruppo POÈSIA nell’organizzare letture pubbliche di poesia. Nel 2013 è tra i selezionati al concorso “Verba Agrestia” e i suoi testi appaiono nell’antologia dedicata ai poeti pugliesi A sud del sud dei santi curata da Michelangelo Zizzi. Vive a Berlino dal 2008. 

 

Andrea Nisticò studia fotografia e lavora a Napoli come fotografo, concentrandosi soprattutto sulla fotografia in bianco e nero. Ha al suo attivo mostre personali e collettive. Dal 2004 dirige l’associazione di fotografia Trentasettesimofotogramma che organizza mostre, eventi, corsi e workshops. Dal 2008 vive a Berlino. La fotografia che presentiamo fa parte della serie “Damm”. Altri suoi lavori li trovate sulla sua pagina internet:

http://www.andreanistico.com

Non solo calcio: rap, protesta e poesia dal Brasile.

Criolo

Criolo

È la megastar delle megalopoli. È il rapper nato in una favela di San Paolo che canta la protesta e i cui video su youtube toccano i milioni di visite. Il rapper che dice le contraddizioni del Brasile e della sua città, „un bouquet di fiori morti  dove i bar sono pieni e le anime così vuote“. Ed è il rapper che a Berlino viene investito ufficialmente anche della carica di poeta. Applauditissima la sua performance mentre legge accompagnato da un dj e dalle forti immagini delle proteste contro i Mondiali.

Oggi niente testo. Criolo non è da leggere, ma da ascoltare.

 

E qui la sua pagina, in portoghese ed inglese:

http://www.criolo.net/en/home.html

Non sempre le Muse bevono il tè. Dal Sudafrica la voce di Philippa Yaa De Villiers

 

Vengo da una tradizione orale e la mia poesia è fatta per essere letta ad alta voce, è fatta per essere vissuta e comunicata”. La voce della sudafricana Philippa Yaa De Villiers è sonora e irresistibile già quando parla in prosa; figuarsi quando recita le sue poesie; poesie che sono appunto costruite in gran parte su musicalità e ritmo. “Amo la ripetizione – spiega la poetessa ad un incontro organizzato a Berlino nell’ambito del Poesiefestival -. La ripetizione, la costruzione di uno schema sono ciò che ci permette di mettere ordine in quel grande caos che è la realtà”.

E di realtà caotiche e drammatiche la De Villiers se ne intende. Nata nel 1966, cresce nel Sudafrica delle lotta contro l’Apartheid e contro le ingiustizie sociali e razziali presenti nel suo paese: “Un sogno ancora da realizzare”, commenta. Le sue poesie si confrontano con la povertà, con la mancanza di libertà, con l’ingiustizia. Sono ritratti, piccole epopee di gente altrimenti senza voce, mai retoriche, anzi, con quel twist di ironia – alle volte malinconica, alle volte compassionevole, alle volte durissima – che le rende preziose, al di là dell’apparente facilità e orecchiabilità.

Ecco un esempio:

Musa

Dico alla mia Musa: Sei sempre qui a perdere tempo.

Lei è a letto a leggere poesie. Dico:

Altre Muse devono portare acqua per miglia e miglia.

Lei mi prega di prepararle un tè.

Dalla cucina le grido: “Non è che vuoi anche un biscotto?”

Non è necessario, dice lei. Non è avida o cose così e ripete

almeno due volte al giorno che mi ama.

Lo stesso ho l’impressione che mi stia sfruttando.

Di questi tempi non si riesce a trovare nessuno di affidabile, tutto qui.

Nel mezzo della notte

si aggira per la casa

e io dico, torna a letto,

lei risponde : Psssst…Non senti come si amano le foglie

con che grave peso batte il cuore delle case.

Una gru scava nelle tasche dei monti…

E io resto ferma in ascolto

ma sento solo il suo respiro

vedo la città sorpresa

ribollire

nello specchio

dei suoi occhi come fanali.

 

Un esempio della sua poesia dal vivo qui: 

 

Genova città poetica: al via il Festival di poesia Parole Spalancate

Montee vers Castelletto

“Genova mia città intera. / Geranio. Polveriera.” cantava Giorgio Caproni in Litania, la sua dichiarazione d’amore alla città.

E dalla Genova con quel mare scuro che si muove anche di notte, ai vicoli dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi (Paolo Conte e De Andrè), alla città dove sentirsi nello stesso tempo sperduti e a casa, bambini e stranieri, come scrive Paul Valéry, Genova è sempre stata città poetica per eccellenza.

Io a Genova mi sono persa e sperduta e ritrovata parecchie volte l’anno scorso, seguendo la parte finale del’annuale festival di poesia tra caruggi, scalinate e piazzette ombrose di magnolie,con struggenti scorci sui tetti grigi e il mare. Ho ascoltato voci dall’Italia, dalla Francia, dal Marocco, dai Balcani, dalla Grecia, e approfittato delle pause per un bella frittura a Sottoripa o una farinata in via Del Campo (tanto per unire il dilettevole al dilettevole).

Quest’anno il Festival “Parole spalancate”, organizzato dal poeta Claudio Pozzani, arriva alla ventesima edizione e propone un programma ricchissimo: oggi la poesia del Mediterraneo di Voix Vives, e poi, da domani e per tutta la settimana appuntamenti con poeti da tutto il mondo (il nome più di richiamo è Michel Houellebecq, ma secondo me il bello di un festival è ascoltare non solo i personaggi già conosciuti, ma lasciarsi andare alla scoperta delle novità), spettacoli (per esempio Pippo del Bono), una ventiquattr’ore di letture di poesia il 13 giugno, percorsi attraverso la città dedicati per esempio a Paul Valéry o a Dino Campana, e per noi golosi gli “aperitivi poetici”. Qui trovate il programma dettagliato.

http://www.festivalpoesia.org/blog/parolespalancate-programma

A me rimangono i versi di Caproni: “Genova dove non vivo. Mio nome, sostantivo”. Voi, se ci abitate più vicini, andateci.

Vi consiglio anche una guida turistica un po’ speciale, per scoprire la città da una prospettiva diversa rispetto al solito acquario:“Mi sono perso  a Genova” di Maurizio Maggiani.

O rileggetevi un’altra poesia di Giorgio Caproni, attendendo di prendere l’ascensore che sale al belvedere di Castelletto:

L’Ascensore

Quando andrò in paradiso
non voglio che una campana
lunga sappia di tegola
all’alba – d’acqua piovana.

Quando mi sarò deciso
d’andarci, in paradiso
ci andrò con l’ascensore
di Castelletto, nelle ore notturne,
rubando un poco
di tempo al mio riposo.

Ci andrò rubando (forse
di bocca) dei pezzettini
di pane ai miei due bambini.
Ma là sentirò alitare
la luce nera del mare
fra le mie ciglia, e… forse
(forse) sul belvedere
dove si sta in vestaglia,
chissà che fra la ragazzaglia
aizzata (fra le leggiadre
giovani in libera uscita
con cipria e odor di vita
viva) non riconosca
sotto un fanale mia madre.

Con lei mi metterò a guardare
le candide luci sul mare.
Staremo alla ringhiera
di ferro – saremo soli
e fidanzati, come
mai in tanti anni siam stati.
E quando le si farà a puntini,
al brivido della ringhiera,
la pelle lungo le braccia,
allora con la sua diaccia
spalla se n’andrà lontana:
la voce le si farà di cera
nel buio che la assottiglia,
dicendo “Giorgio, oh mio Giorgio
caro: tu hai una famiglia.”

E io dovrò ridiscendere,
forse tornare a Roma.
Dovrò tornare a attendere
(forse) che una paloma
bianca da una canzone per radio,
sulla mia stanca
spalla si posi. E alfine
(alfine) dovrò riporre
la penna, chiuder la càntera:
“È festa”, dire a Rina
e al maschio, e alla mia bambina.

E il cuore lo avrò di cenere
udendo quella campana,
udendo sapor di tegole,
l’inverno dell’acqua piovana.

Ma no! se mi sarò deciso
un giorno, pel paradiso
io prenderò l’ascensore
di Castelletto, nelle ore
notturne, rubando un poco
di tempo al mio riposo.

Ruberò anche una rosa
che poi, dolce mia sposa,
ti muterò in veleno
lasciandoti a pianterreno
mite per dirmi: “Ciao,
scrivimi qualche volta,”
mentre chiusa la porta
e allentatosi il freno
un brivido il vetro ha scosso.

E allora sarò commosso
fino a rompermi il cuore:
io sentirò crollare
sui tegoli le mie più amare
lacrime, e dirò “Chi suona,
chi suona questa campana
d’acqua che lava altr’acqua
piovana e non mi perdona?”

E mentre, stando a terreno,
mite tu dirai: “Ciao, scrivi,”
ancora scuotendo il freno
un poco i vetri, tra i vivi
viva col tuo fazzoletto
timida a sospirare
io ti vedrò restare
sola sopra la terra:

proprio come il giorno stesso
che ti lasciai per la guerra.

C’era una volta a Berlino…

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C’era una volta un bosco tutto verde nel centro di una grande città. Nel bosco una casa, nella casa un festival di poesia, e al festival di poesia (questa la parte più da favola), un auditorium gremito di gente disposta a pagare un sostanzioso biglietto per poter vedere le performance di  nove poeti provenienti da tutto il mondo.

Me lo sono inventato adesso? No, succede davvero. A Berlino.

Alla serata di inaugurazione del Poesiefestival il pubblico è davvero molto numeroso. Si tratta di spettatori di tutte le età, dotati, oltretutto, di gran pazienza e costanza. Perché la serata è lunga ed intensa; tanto che quasi ci si pente del vino bianco che ci si è concesso all’inizio, delizioso nel fresco degli alberi del Tiergarten che circondano l’Akademie der Künste, ma che certo non aiuta a seguire con attenzione le due ore e mezza di letture diversissime tra loro.

Ci sono artisti dallo stile musicale e intenso, e quelli che preferiscono la sperimentazione. I primi celebrano una poesia che è dichiaratamente “messa al bando” dagli altri; una poesia che non ha paura di parlare delle cose, di ciò che è umano, vita, paura, fame, amore, morte e impegno politico (e non a caso sono autori che provengono dal Sud Africa, dal Brasile, e da altri paesi economicamente o politicamente instabili); gli altri sperimentano con le parole, frammentandole e moltiplicandole fino ad una pressoché totale perdita del senso, o giocano abilmente con i concetti ormai banalizzati e svuotati della nostra cultura ( i due estremi: la sudafricana Philippa Yaa de Villiers e le partiture per voce della tedesca Anja Utler).

Ma ci sono anche poeti dalla voce più piana, quelli che, per citare Rilke, “dicono le cose, ciò che è presente e nostro”, come la quotidianità stranita e malinconica del polacco Marius Grzebalski, o la complessità del mondo filtrata attraverso la parola e la saggezza zen del coreano Ko Un, due volte candidato al Nobel, che umilmente si definisce un “mendicante della parola”.

È proprio con lui che voglio concludere oggi – degli altri autori e delle altre serate parlerò in altra occasione. Ko Un lo trovate anche tradotto in italiano, dalle edizioni Cafoscarina, LietoColle (L’isola che canta, 2009) o per le edizioni nottetempo. La poesia che vi propongo è tratta da wikipedia.

 

La strada non c’è.

Da qui in poi, speranza.

Mi manca il respiro,

da qui in poi, speranza.

Se la strada non c’è,

la costruisco mentre procedo.

Da qui in poi, storia.

Storia non come passato, ma come tutto ciò che è.

 

Ko Un da Songs for Tomorrow, 1992

http://www.letteratura.rai.it/articoli/ko-un-nei-miei-sogni-la-poesia/22347/default.aspx

“Considero valore ogni forma di vita”. La poesia di Erri De Luca, qui e in molte piazze italiane, per la giornata di solidarietà con lo scrittore.

 

Dalla pagine fb di Erri De Luca

Oggi è la giornata di solidarietà con Erri De Luca, contro cui inizia domani un processo a causa di alcune dichiarazioni fatte dallo scrittore sulla necessità di fermare i lavori della TAV.

Contribuisco nel mio piccolo con due sue poesie: una in lettura e una in video, recitata da lui.

Io ho avuto la fortuna di conoscerlo e di presentarlo in un incontro a Como, molto tempo fa. Lui aveva già allora la faccia più poetica che io avessi mai visto: un labirinto di rughe e di solchi che ti veniva voglia di metterci un dito dentro per seguirli e vedere dove andavano a finire. Non l’ho fatto, ovviamente: mi sono solo limitata a chiedergli, un po’ ingenuamente, se non avesse freddo, visto che era sceso dal treno alla stazione di Como coi piedi nudi in un paio di sandali, i capelli rasati e una giacca leggera ben poco adatti alla gelida serata autunnale. La risposta era stata secca: „No, perché?“

Erri De Luca divide: è di moda o amarlo o odiarlo senza mezzi termini. Io di lui ho il ricordo di una persona essenziale, in cui nulla è superfluo; di un’aura francescana che si era ammorbidita a cena, con qualche bicchiere di vino, e dello scintillio divertito nei suoi occhi azzurri; e soprattutto ho il piacere sempre rinnovato, nella lettura, delle sue frasi raccolte, precise, pregnanti, frasi che se cambi o sposti un solo termine tutto cambia di segno. Frasi come poesia, insomma.

Di poesie vere e proprie De Luca ha pubblicato quattro raccolte, per Feltrinelli ed Einaudi. L’ultima (Einaudi) si intitola „Bizzarrie della provvidenza“.

Vi segnalo solo due manifestazioni di solidarietà (ma ce ne sono moltissime altre): una a Torino, alla Feltrinelli di piazza CLN, dove ci sarà una lettura pubblica delle sue poesie, e l’altra nella città dove vivo, a Berlino, alla libreria Mondolibro, dove alle 20.30 si terrà un concerto del musicista Leo Pari e tutti sono invitati a portare un libro di De Luca e leggere il proprio passaggio preferito.

VALORE

 

DUE

Quando saremo due saremo veglia e sonno
affonderemo nella stessa polpa
come il dente di latte e il suo secondo,
saremo due come sono le acque, le dolci e le salate,
come i cieli, del giorno e della notte,
due come sono i piedi, gli occhi, i reni,
come i tempi del battito
i colpi del respiro.
Quando saremo due non avremo metà
saremo un due che non si può dividere con niente.
Quando saremo due, nessuno sarà uno,
uno sarà l’uguale di nessuno
e l’unità consisterà nel due.
Quando saremo due
cambierà nome pure l’universo
diventerà diverso.

Ecco i link agli eventi:

http://www.einaudi.it/speciali/Per-Erri-De-Luca.-Letture-di-poesia-a-Torino

 http://www.mondolibro.de/4.html