“Il mio cuore ogni volta che sente bussare / apre la porta.” Dalla Siria la poetessa Maram al Masri

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Esule dalla Siria e parigina d’adozione ormai dal 1982, la splendida cinquantenne Maram al Masri è definita poetessa della “naivité”, dell’ingenuità, poetessa delle piccole cose, dei dettagli familiari e amorosi, talvolta malinconici, talvolta sorridenti. Come in questi leggerissimi versi:

Follia

Che follia!
Il mio cuore ogni volta che sente bussare
apre la porta.

Ma al Masri e non rinuncia alla denuncia – con parole semplici, con immagini quotidiane e dirette che rispecchiano una condizione femminile  altrettanto quotidiana di  isolamento e sottomissione, di sopraffazioni e di  solitudine. Come è la sua stessa esperienza: il marito dopo la separazione le rapisce il figlio, impedendole di vederlo per ben tredici anni.

Nelle parole riportate da Deborah Marinacci per il blog threemonkeysonline. com la poetessa descrive così la sua giovinezza in Siria, paese dal quale si distacca con decisione:  “Sono una donna libera. Quando ero piccola le mie compagne me lo dicevano sempre. Allora non capivo questa libertà. Per loro era immorale perché nuotavo, ballavo, portavo delle minigonne, salutavo i ragazzi, andavo al cinema. La mia famiglia mi ha mandata a Damasco all’università. Io andavo in Inghilterra, amavo senza nascondermi un ragazzo di un’altra religione. Ho sofferto tanto. Per loro era una specie d’insulto, e per me invece era morale, onesto, non ipocrita, significava stare bene con l’altro, rispettarsi. Essere trasparenti, accordarsi con i propri pensieri.”

Dalla raccolta Anime scalze dell’editore Multimedia proponiamo una poesia che si concentra su una solitudine, tra Eleanore Rigby e L’eleganza del porcospino:

Betty

Padre: Georges
Madre: Emma
Età: 83 anni
Professione: ex istitutrice

Betty
ha una gatta
che si chiama
Katheline.
Katheline,
la gatta di Betty
è odiata da tutti
tranne che da
Betty
che non ama che
Katheline
Betty
non fa niente altro
che stare seduta davanti alla finestra
a carezzare il pelo
della sua gatta cattiva,
Katheline
Katheline
che odia tutti tranne che
Betty.
Ma Betty si ostina
a tenere ogni giorno
il suo diario intimo,
l’unica cosa che la distrae
da Katheline.

Sabato : Katheline non mangia.
Domenica : Katheline ha mangiato due topi.
Lunedì : Katheline miagola molto.
Martedì : Katheline mi guarda con amore.
Mercoledì : Katheline ha perso un po’ di pelo.
Giovedì : Katheline …
Venerdì : Katheline. Katheline. Katheline.
Katheline Katheline
Katheline Katheline Katheline
Katheline Katheline Katheline Katheline

“Se non riesci a dormire vuol dire che un poeta ti sogna sveglia”: il poeta turco Gökçenur Ç

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La morte sogna di sommare previdenza sociale, previdenza aggiuntiva e andarsene in pensione,

La morte, lucciola bionda, impara qualcosa da chiunque tocchi,

La morte non gradisce l’idea di trasferirsi in campagna,

La morte dice a Cüneyt ho visto tuo padre sta bene e ti bacia..

 

Poeta, organizzatore di scambi internazionali di poesia, traduttore, e anche ingegnere: il quarantatreenne Gökçenur Ç (abbreviazione che si pronuncia Ce) è uno dei lirici turchi più attivi e originali del panorama contemporanea. Sua è per esempio la poesia Maschera antigas, occhialini, antiacido e latte (l’equipaggiamento necessario per difendersi dai gas lacrimogeni della polizia), scrittaa caldo“ durante le proteste di Gezi park, pubblicata in tedesco dall’editore binooki.

E in italiano? Trovare poesia turca contemporanea ben tradotta – e soprattutto tradotta direttamente dall’originale (molto diffusa infatti è la prassi di tradurre da traduzioni) non è cosa facile. Un ottimo posto dove informarsi e trovare ottime versioni in italiano di molti lirici turchi contemporanei  è il blog defterpoesiaturca (www.defterposiaturca.wordpress.com) di Nicola Verderame, dottorando in cultura ottomana a Berlino ed esperto di lingua e letteratura turca.

È lui l’autore delle traduzioni di Ç, già presenti sul suo blog, che ci ha gentilmente concesso di ripubblicare qui. Godetevele.

 

Maschera antigas, occhialini, antiacido e latte

 

Quella mattina ti sei svegliato presto

E prima di dare uno sguardo ai giornali

Prima ancora di toccare il cellulare

Sei uscito in strada con una gioia insolita.

 

Pane caldo, burro, omelette con salame e the

Amore in un letto già disfatto

Prima della siesta.

 

Tutto era puro

Tutto era tranquillo

Tutto era perfetto

E intatto nella tua mente

Finchè quel gabbiano

Si posa sull’inferriata del balcone

Ti punta gli occhi addosso ed emette un hǣrrrǩĥ!

 

Poi hai scritto un sacco di poesie,

Pubblicato tre libri, ti sei rilassato.

Hai quattordici versi in testa, ancora non scritti.

Ma ancora non sai dove usare questa parola:

 

Hǣrrrǩĥ! dovrei dirlo più spesso che ti amo, non importa che tu lo senta o no

hǣrrrǩĥ! ho cancellato gli sms venuti dalla nebbia senza leggerli, fallo anche tu

hǣrrrǩĥ! se non riesci a dormire vuol dire che un poeta ti sogna sveglia

hǣrrrǩĥ! l’estate è arrivata, l’estate dello sciacallo Celebi, si deve brindare

hǣrrrǩĥ! ci asfissiano come insetti a Gezi Park

hǣrrrǩĥ! il cielo prevede la pioggia o la intuisce, ma questo all’estate non va chiesto

hǣrrrǩĥ! eri una telefonata di mattina presto a cui non ho risposto.

hǣrrrǩĥ! hai lasciato sul mio tavolo una matita rosicchiata e senza punta, ma non oso temperarla

hǣrrrǩĥ! mi hai gridato, la pioggia si stringeva a quel suono, le gocce non cadevano più ma mi volavano incontro

hǣrrrǩĥ! quella notte abbiamo dormito in posti diversi, ma sognando di imparare l’ebraico insieme

hǣrrrǩĥ! le cose pensate non sono poesia – informazione confermata, questo il messaggio da un numero sconosciuto

hǣrrrǩĥ! la solitudine mi brucia dentro, colpisce tutti, prendine nota e non dimenticarlo

hǣrrrǩĥ! i tuoi grandi denti, le lentiggini, gli occhi brillanti, gli orecchi concavi, i capelli setosi

hǣrrrǩĥ! sposami, ho tutto: maschera antigas, occhialini, antiacido e latte

 
 

 Sei lontana dal tuo paese, e io sono là

 

Sei lontana dal tuo paese, e io sono là

ogni giorno che passa la mia poesia

somiglia a lettere smarrite dalle poste:

 

Ti sei addormentata sul lungo sofà color banana,

lo chignon disfatto, gli occhiali sul punto di scivolarti dalle dita,

i resti di quattro o cinque mele nel piatto,

il pettine usato come segnalibro,

una copertina blu di Prussia sulle ginocchia,

forse sogni una scena teatrale con vecchie voci:

 

Sei in casa nostra, tua madre non è ancora impazzita,

mio fratello non è ancora stato coscritto

Zeki Müren canta alla radio

Adesso sei lontano”

tra un minuto interrompendo la canzone annunceranno

che le forze armate hanno preso il controllo

per la sicurezza e la salvezza nazionale,

fra un minuto dirai “devo andare via”

non posso venire, perché il turco…”

 

Avrai visto quest’opera mille volte,

ma quando sarai sul punto di svegliarti in un bagno di sudore

noterai un telegramma stropicciato sul grammofono:

 

../non svegliarti../:vento/ stop

cadere foglia secca../’sul tuo seno

come mie notizie../ stop

 

Sei lontana dal tuo paese immerso nel caos

io sono vivo, per il momento, e

innamorato, dubbioso e immune alle separazioni

 

 

 

Il link del blog defterpoesiaturca dove potete trovarle è questo: http://defterpoesiaturca.wordpress.com/tag/gokcenur-c/

Dall’Ucraina con furore: Serhij Zhadan

zhadan

In Italia lo si conosce per il romanzo Depeche Mode, pubblicato qualche anno fa da Castelvecchi. E per il pestaggio di cui lui, ucraino, è stato oggetto a Kiev,  durante una manifestazione da parte di un gruppo di filorussi.

Definito unanimamente l’”enfant prodige della letteratura russa” (anche se lui scrive rigorosamente in ucraino), Sergej Zhadan, classe 1974, ha all’attivo otto raccolte di poesie (è stato soprannominato  il “Rimbaud dell’Ucraina”) e una decina tra romanzi e racconti, tradotti in diverse lingue. In Germania, per esempio, è autore acclamato e ricercatissimo, invitato a molti festival e fiere: piacciono il suo stile scanzonatoe anarchico, il senso dell’assurdo, la sua poesia “punk” dalla “malinconia postproletaria”, come lo descrive il suo editore tedesco Suhrkamp.

Qui proponiamo una sua poesia in inglese, tanto per averne un assaggio:

 

LUKOIL

When Easter arrives and the sky becomes kinder
but everyone becomes more intense, saying, Easter, Resurrection Day
then the dead start to turn in the ground,
breaking up the cold clay with their elbows.
I’ve had to bury friends,
I know what it’s like to bury your friends in the dirt,
like a dog buries a bone,
and wait till the sky
becomes kinder.

There are social groups
for whom such rituals are very important,
I mean, first of all, mid-sized businesses.
Everyone has seen
the sorrow that envelopes these regional
representatives of Russian gas companies
when they descend on the boundless
cemetery fields, to bury in the ground
one more brother shot through the lungs;

everyone has heard the loud beat of their hearts
when they stand near the coffin
and wipe their stingy tears and runny noses against their
dolce & gabbana
slurping hennessy
from disposable
glasses.

“So, Kolya,” they say, “here’s to you and the hereafter.
In the great field of offshore business
we fall into the cold pools of oblivion,
like wild geese in the autumn with buckshot in our livers.”

“So,” they answer, “when we
send off our brother
on his long journey
into the radiant Valhalla of Lukoil
who will accompany him
through the dark caverns of purgatory?”

“Bitches,” they all say, “bitches
he’ll need bitches,
good bitches
expensive ones, without bad habits,
they will warm him in the winter
they will chill his blood in the spring,
on his left will lie a platinum blond,
on his right will lie a platinum blond,
and he won’t even notice he is dead.

Oh, death is a territory where
our credit won’t reach.
Death is the territory of oil,
let it cleanse his sins.
We’ll place his weapons at his feet, and gold,
and furs and finely ground pepper.
In his left hand we will place his newest nokia
and in his right an indulgence from Jerusalem.
But the main thing are the bitches,
two bitches, the main thing are two platinum bitches.”
“Yes, that’s the main thing,” everyone agrees.
“The main thing are the bitches,” they agree.
“The main-main thing,” adds Kolya from the casket.

We’re all sentimental at Easter time.
We stand and wait for the dead
to rise and come to us from the hereafter.
You become more interested in death
when you bury friends.

On the third day as they flank
the doors of the morgue, on the morning of the third day
he conquers death through death, after all, and walks out
from the crematorium, he sees
that they have all fallen asleep exhausted
after a three-day drinking spree
sprawled out on the grass,
in vomit-covered
dolce & gabbana.

Then quietly
so as not to wake them up
he takes from one of them
the charger for a nokia
and returns
to hell
to his
blonds.

La traduzione è presa dal sito http://www.poetryinternetionalweb.com

 

 

“Non fuggirò a Nord, Dio”. La poesia del palestinese Najwan Darwish

bashir vero

Lui si chiama Najwan Darwish ed è una delle voci più interessanti della poesia araba contemporanea.  È palestinese; le sue poesie parlano di oppressori ed oppressi, di una quoditianità fatta di bombardamenti, di una normalità stranita e surreale, amarissima. E lo fa con un tocco inconfondibile, con un’ironia lucida e spiazzante. Quando lo incontriamo al festival di poesia di Tunisi dice di non voler scrivere poesia dichiaratamente politica, ma che lo scrittore è, come tutti, preso nel mondo, e che non può fare a meno di parlarne. Ci descrive le difficoltà che incontra ogni volta che esce da Gerusalemme per la sua attività di poeta e giornalista, degli interminabili interrogatori in aeroporto. Racconta e ride: è l’ironia la dignità più forte.

Nato nel 1978 da genitori palestinesi esiliati a Gerusalemme, Darwish ha esordito nel 2000. Le sue poesie sono tradotte in 19 lingue.

Le traduzioni che presento qui sono dal francese e dall’inglese, dalle raccolte Nothing more to lose (NYRB 2014),  e Je me lèverai un jour (Al-Feel, 2012).Spero che presto qualche arabista ci pensi lui…

 

Sonno a Gaza

 Fado, dormirò come si dorme

quando gli aerei bombardano

e l’aria si lacera

come carne viva

Sognerò dunque di tradimenti

come si sogna dormendo

quando gli aerei bombardano

 

A mezzogiorno mi sveglierò

per interrogare la radio

come fanno tutti gli altri:

C’è una tregua? Quanti morti?

 

Ma la mia tragedia, Fado,

è che ci sono due tipi di persone:

Quelle che buttano le loro sofferenze

e i loro peccati in mezzo alle strade

per potersi addormentare

E quelli che fondono le sofferenze

e i peccati in forma di croce

e la portano in processione

per le strade di Babilonia, di Gaza e di Beirut

gridando: Ancora!

Ancora!

 

Due anni fa camminavo

per le strade di Dahieh

alla periferia sud di Beirut

e trascinavo una croce grossa

come le macerie di un palazzo

Ma ora, chi toglierà la croce

dalla schiena di un uomo sfinito a Gerusalemme?

 

La terra: tre chiodi

E la misericordia: un manganello.

Colpisci, Dio,

colpisci con gli aerei

Ancora!

 

 

Il bus degli incubi

Li ho visti infilare le mie zie

in sacchi di plastica nera

dove il loro sangue caldo

si accumulava in pozze

(Ma io non ho zie)

Ho saputo che hanno ucciso Natasha,

mia figlia di tre anni

(Ma io non ho figlie)

Mi è stato detto che hanno violentato mia moglie

l’hanno trascinata per le scale e poi lasciata per la strada

(Ma io non sono sposato)

Non c’è dubbio, gli occhiali che i loro stivali

hanno fatto a pezzi sono proprio i miei

(Ma io non porto occhiali)

Dormivo a casa dei miei genitori

e sognavo di andare da lei. Al risveglio

ho visto i miei fratelli

impiccati al soffitto

della chiesa del Santo Sepolcro

Mosso a pietà, Dio diceva: „Questo

è il mio dolore“.

Io raccoglievo l’orgoglio degli impiccati e dicevo:

„No, è il nostro!“

 …

Il dolore illumina e mi diventa più caro

dei miei stessi incubi.

….

Non fuggirò a Nord

Dio

Non mettermi tra quelli che cercano

un rifugio

 

-continueremo più tardi a fare questi conti

 

Adesso è ora di andare a dormire

non voglio essere in ritardo per il bus

degli incubi che va a Sabra e Shatila…

 

Il paradiso

 Ci risvegliammo un giorno in paradiso

e gli angeli ci colsero di sorpresa

brandendo contro di noi strofinacci

e manici di scopa

– Il vostro alito odora di alcol

le vostre tasche sono tutte piene

di poemi e di eresie…

 

-Calmatevi, servitori di Dio, gli abbiamo detto:

desideravamo solo passare una mattina

ad Haifa. I nostri sogni ci hanno portato qui

per errore.

 

 

Chi si ricorda degli Armeni?

 Io mi ricordo di loro:

con loro ogni notte

salgo sul bus degli incubi

con loro stamattina

bevo il mio caffè.

 

Ma voi, assassini –

Chi si ricorda di voi?

 

Maria

 Ultimamente mia madre è ossessionata

dai libri su Gesù. Vicino al suo letto pile

di volumi, spesso presi in prestito

dalla mia biblioteca: romanzi, manuali, confessioni,

autori in polemica tra loro. Se mi capita di passare

vicino alla sua stanza, subito mi chiama perché

io intervenga a dirimere le loro questioni.

(Poco tempo fa, ho soccorso uno storico di nome Kamal Salibi

a cui una pietra cattolica aveva squarciato la fronte)

Prende le sue ricerche su Gesù molto sul serio,

questa donna che ho sempre deluso – non sono caduto

martire ai tempi della prima Intifada, né nella seconda,

e nemmeno nella terza.

Detto tra noi, non cadrò martire in nessuna

delle prossime intifada.

E non morirò ucciso da una cicogna imbottita di esplosivo.

Lei legge e la sua immaginazione ortodossa mi

crocifigge ad ogni pagina

E io non faccio nient’altro che rifornirla

di libri e di chiodi!

 

Come questi alberi

 Gli alberi oscillano

ben attenti a non cadere

Perché se gli alberi cadono,

la terra qui non li accoglie:

né lei né nessun altro.

E visto che gli alberi

non riescono più a sopportare il marcire delle radici

visto che hanno scelto di diventare alti nel vento

devono pagarne il prezzo e cadere senza fine.

 

E per questo, ti prego, quando cammini in bilico

sui marciapiedi, stai attento

perché anche tu cadrai senza fine

 

Non c’è niente di male ad immaginare alberi

che si dondolano assieme a te

e un vento che ti prende al volo mentre cadi

Tu che hai vissuto come questi alberi,

senza terra

né radici.

 

L’immagine  è tratta dal film “Waltz with Bashir” di Ari Folman.

“And remember: smile not terrorist”. Rafeef Ziadah

Ci sono numeri che contano (per esempio i goal fatti in una partita) e numeri che non contano (per esempio i  “danni collaterali” uccisi a Gaza). Poi c’è la poesia.

 

Today, my body was a TV’d massacre.

Today, my body was a TV’d massacre that had to fit into sound-bites and word limits.

Today, my body was a TV’d massacre that had to fit into sound-bites and word limits filled enough with statistics to counter measured response.

And I perfected my English and I learned my UN resolutions.

But still, he asked me, Ms. Ziadah, don’t you think that everything would be resolved if you would just stop teaching so much hatred to your children?

I look inside of me for strength to be patient but patience is not at the tip of my tongue as the bombs drop over Gaza.

Patience has just escaped me.

Pause. Smile.

We teach life, sir.

Rafeef, remember to smile.

We teach life, sir.

We Palestinians teach life after they have occupied the last sky.

We teach life after they have built their settlements and apartheid walls, after the last skies.

We teach life, sir.

But today, my body was a TV’d massacre made to fit into sound-bites and word limits.

And just give us a story, a human story.

You see, this is not political.

We just want to tell people about you and your people so give us a human story.

Don’t mention that word “apartheid” and “occupation”.

This is not political.

You have to help me as a journalist to help you tell your story which is not a political story.

Today, my body was a TV’d massacre.

How about you give us a story of a woman in Gaza who needs medication?

How about you?

Do you have enough bone-broken limbs to cover the sun?

Hand me over your dead and give me the list of their names in one thousand two hundred word limits.

Today, my body was a TV’d massacre that had to fit into sound-bites and word limits and move those that are desensitized to terrorist blood.

But they felt sorry.

They felt sorry for the cattle over Gaza.

So, I give them UN resolutions and statistics and we condemn and we deplore and we reject.

And these are not two equal sides: occupier and occupied.

And a hundred dead, two hundred dead, and a thousand dead.

And between that, war crime and massacre, I vent out words and smile “not exotic”, “not terrorist”.

And I recount, I recount a hundred dead, a thousand dead.

Is anyone out there?

Will anyone listen?

I wish I could wail over their bodies.

I wish I could just run barefoot in every refugee camp and hold every child, cover their ears so they wouldn’t have to hear the sound of bombing for the rest of their life the way I do.

Today, my body was a TV’d massacre

And let me just tell you, there’s nothing your UN resolutions have ever done about this.

And no sound-bite, no sound-bite I come up with, no matter how good my English gets, no sound-bite, no sound-bite, no sound-bite, no sound-bite will bring them back to life.

No sound-bite will fix this.

We teach life, sir.

We teach life, sir.

We Palestinians wake up every morning to teach the rest of the world life, sir

 

(Trascrizione dal blog: blissonature.wordpress.com)

Nuotando tra gli animali e i miti nell’acquario del poeta Jeffrey Yang

 

 

Immagine di copertina di Ein Aquarium

Non sul fondo del mare, ma tra gli scaffali di una delle librerie meglio fornite di Berlino (Dussmann, nella Friedrichstrasse) ho trovato uno di quei libri che si prospettano come piccole delizie: per la grafica, il verde acqua rinfrescante della copertina, e per la precisa delicatezza del contenuto.

„An aquarium“ è un acquario di versi dal tema a tutta prima velleitario: dalla A alla Z della fauna marina, dagli anemoni alla zooxanthella. Ma dietro l’arbitrarietà del tema e dietro l’apparente aridità della classificazione si nasconde uno sguardo filosofico, la capacità di accennare in brevi versi alla complessità del piccolo, di seguire e creare connessioni con la mitologia legata all’oceano e con il mondo dell’umano. Il poeta, traduttore dal cinese e redattore Jeffrey Yang, nato nel 1974, anima il suo acquario di richiami filosofici (da Aristotele, a Spinoza, alla filosofia orientale), di accenni teologici, ma anche di personaggi storici come Garibaldi, o di brevi, spiritose descrizioni come queste:

 

EEL

Eels are slimy creatures.

But never lie. If they sense

the slightest pretence, they’ll

bite off your finger. Carefully

study the hands of politicians.

 

ANGUILLA

Le anguille sono creature viscide.

Ma non mentono mai. Se fingi,

subito se ne accorgono: con un

morso ti staccano il dito. Osserva

attentamente le mani dei politici.

 

Dolphins

The Greeks thought dolphins

were once men. The Chinese

river dolphin was a goddess.

Scientists tell us that if we

rearrange a few of our genes,

we’d become dolphins. Wouldn’t

that be real progress!

 

 

Delfini

I delfini un tempo erano uomini,

pensavano i Greci. Per i cinesi

il delfino d’acqua dolce era una dea.

La scienza ci dice: riorganizzando

appena un paio dei nostri geni

diventeremmo delfini. Questo sì

sarebbe un vero progresso!

 

L’edizione a cui ci riferiamo, in tedesco con originale a fronte, è “Ein Aquarium”, ed. Berenberg

Jeffrey Yang