Le parole necessarie

Segnalo qui un evento che mi sta particolarmente a cuore. Ho sempre pensato che la poesia abbia l’incarico di dire il dolore – dirlo là dove non si vorrebbe guardare, dove si preferisce far finta di niente, o usare finte parole consolatorie. E la poesia sa dire anche la m12983942_1095500090512989_2539945790213310222_oalattia, trovare parole per l’innominabile e in questo modo renderlo condivisibile. L’iniziativa “Le parole necessarie” del Centro di poesia di Bologna nasce proprio per questo: dare voce al mondo solo apparentemente muto e asettico degli ospedali, a chi ci lavora, a chi ci soffre, alle famiglie dei malati. Il Laboratorio di Poesia sarà tenuto da Tommaso Di Dio (un poeta che tra l’altro mi piace molto, spero di avere occasione di parlarne presto). L’appuntamento sarà ogni martedì dal 10 al 31 maggio alle ore 17.00 presso il Padiglione 23 del Policlinico di Sant’Orsola.

Un libro che non basta: “Basta così” di Wisława Szymborska

Nonostante il nome difficile,  la poesia di Wisława Szymborska, autrice polacca nata nel 1923 e morta nel 2012, premio Nobel per la letteratura nel 1996, è abbastanza conosciuta: tanto che, con mia grande sorpresa, l’ho trovata citata alcune volte  su facebook da persone che non si occupano di poesia; cosa che non mi è mai successa per esempio con un altro poeta premio nobel, Tomas Transtömer. Forse perché la  poesia della Szymborska non mette paura, contrariamente a quella di altri poeti contemporanei, più cupi, o più impegnati in giochi linguistici. Non mette paura anche se i suoi componimenti sono ben lontani dall’essere semplici o consolatori: l’ironia, il gusto per la sorpresa, per il finale che spiazza, nascondono una feroce critica sociale, ma anche uno stupore filosofico (ovvero di interrogazione inesausta) davanti al mondo. Scelgo qui due poesie eblematiche di queste due tendenze dall’ultima opera, Basta così, nella traduzione di Silvano De Fanti (Adelphi, 2012).

 

C’è chi

 

C’è chi meglio degli altri realizza la sua vita.

È tutto in ordine dentro e attorno a lui.

Per ogni cosa ha metodi e risposte.

 

È lesto a indovinare il chi il come il dove

e a quale scopo.

 

Appone il timbro a verità assolute,

getta i fatti superflui nel tritadocumenti,

e le persone ignote

dentro appositi schedari.

 

Pensa quel tanto che serve

non un attimo in più,

perché dietro quell’attimo sta in agguato il

dubbio.

 

E quando è licenziato dalla vita,

lascia la postazione

dalla porta prescritta.

 

A volte un po’ lo invidio

-per fortuna mi passa.

 

***

 

Lo specchio

 

Sì, mi ricordo quella parete

nella nostra città rasa al suolo.

Si ergeva fin quasi al sesto piano.

Al quarto c’era uno specchio,

uno specchio assurdo

perché intatto, saldamente fissato.

 

Non rifletteva più nessuna faccia,

nessuna mano a ravviare chiome,

nessuna porta dirimpetto,

nulla cui possa darsi il nome

«luogo».

 

Era come durante le vacanze –

vi si rispecchiava il cielo vivo,

nubi in corsa nell’aria impetuosa,

polvere di macerie lavata dalla pioggia

lucente, e uccelli in volo, le stelle, il sole all’alba.

 

E così, come ogni oggetto fatto bene,

funzionava in modo inappuntabile,

con professionale assenza di stupore.

Videopoesia, questa sconosciuta.

Poesia. Molti la scrivono, pochi la leggono, ancora meno la ascoltano. E quasi nessuno la guarda. L’abbinamento tra immagini e parola poetica  è difficile. Se c’è una storia, illustro la storia. Se ci sono dei personaggi, li faccio vedere, li faccio muovere, li faccio parlare. Ma se la storia non c’è? O se ci sono più storie possibili, molte immagini intrecciate tra loro, indefinite, contraddittorie, fuori dalla logica comune? Il rischio di tradurle in un video è quello della semplificazione, della banalizzazione. E perché poi dovremmo farci suggerire delle visioni da qualcun altro, quando il bello della poesia è che le visioni, i pensieri, riescono a sottrarsi alle solite evidenze, seguono percorsi più nascosti e privati? Forse l’unica soluzione è che il video trovi una via tutta sua, parallela alle immagini ma individuale. Che segua e potenzi l’atmosfera delle parole, rinunciando a illustrarle, e trovando un suo personale stile. Questa è stata la scelta della videomaker Barbara Bernardi, che ha girato un video su una mia poesia, vincendo il primo premio per la sezione di videopoetry al Concorso internazionale di Letteratura Città di Cattolica.

Una curiosità: il video è stato girato in uno dei posti più affascinanti della ex Berlino est, il palazzo della Funkhaus, ora in parte chiuso al pubblico in parte adibito ad atelier di artisti, con i suoi meravigliosi studi di registrazione anni Sessanta.

Ed ecco qui il video, con la voce dell’attore Carlo Loiudice.