Il respiro della natura nelle poesie di Alex Caselli, con un’introduzione di Fabrizio Bajec

Paul Klee Ad Parnassum 1932

Oggi ospitiamo tre poesie del poeta emiliano Alex Caselli. Nato nel 1983, specializzato in storia moderna, Caselli ha già al suo attivo diverse pubblicazioni. Noi lasciamo come sempre la parola prima alle sue poesie (tratte dalla silloge “Giardino”), e poi alla presentazione dell’opera fatta da Fabrizio Bajec. Voi leggetele nell’ordine che preferite…

Prima di Pasqua

C’è silenzio. Regna nell’orto

l’angoscia del possibile. Tutto,

istante propizio, in questa resa ha inizio.

Ti stringi nella tunica, fa freddo,

umida l’aria ti trafigge, rovi ti segnano

i ginocchi, crepe sulla terra si aprono.

E lì, in pace notturna tra amici

sedotti, ora lasciati a dormire,

nella resa, sospesa al tuo gesto d’aiuto

incautamente evitato, lì

nel vivo, rigoglioso e fresco

deserto, si stendono impassibili, alte

e nell’attesa si fanno presagio –

le braccia della croce. E tu ritorni

al suo incrocio fatale, il Senso.

Risalgono dal monte, in fila, lanterne,

strepitano da ombre in ascesa

ironiche ingiurie. E ancora

ti raccogli, solitario, in preghiera.

Poi discendi – ultima discesa –

e sei tra loro, in fede, già compiuto.

Si arma la mano del compagno

scocca sordo il bacio dell’inizio.

Rimozione

Resta isolata

la frase fatta

snobbata dal discorso;

emerge – isolotto – la parola

uscita liscia, tonda,

dalla bocca.

Rimuove la difesa

lo scacco dell’assalto,

si sposta nel cestino

il simbolo, il rimando.

Della pietanza resta un contorno

uniforme, leggero.

(Lontano, in cavità profonde,

echeggiano sirene

anticorpi, quarantene).

 

Digestione

È famelica nel gorgo

l’attesa che alla luce si spalanca,

cala dall’alto il cibo della vita

il vino dell’alleanza. Guardiani

incrociano lance, percuotono

il corpo, ne fanno poltiglia.

Lo mutano, gli addetti, nel bolo.

Compie il suo giro, occultato

dagli occhi, dai riti,

lontano, in disparte, s’immola.

 

E ora ascoltiamo cosa ne dice Fabrizio Bajec in un intervento scritto per il blog attimpuri che l’autore ci ha gentilmente messo a disposizione:

Se l’uomo ama tanto osservare la natura è perché in essa non trova immediatamente conflitti. La natura è riposante, rigenerante. Posare lo sguardo su un giardino, su un campo, presso un fiume, in aperta campagna, rigenera lo spirito, placa gli umori peggiori. Nella natura non ci sono divisioni o contrapposizioni, ma regna una grande unità. E la vita non sembra potersi interrompere mai.
Allora trattare di questo nei propri versi è come dichiarare un bisogno di pace, di un Eden che si sa difficile da raggiungere. Nelle pagine di
Giardino, i confini tracciati tengono fuori tutto il peggio che l’uomo può vivere. E d’altra parte, ci ricordano l’atavico rapporto con una Madre né benigna, né feroce. La natura è quel che è. E Caselli non ha intenzione di sublimarla in alcun modo, né idealizzarla proponendo un modello di vita alternativo. Non crede più in Rousseau (per citare un suo verso). A lui interessa parlare della vita al suo stato nascente. Così l’uovo di testuggine della prima poesia non conosce ancora la sua fine.
Come possono esaltarci i versi lirici di chi ha fatto la scelta di illustrare paesaggi, piccoli animali, micro-movimenti, in un ecosistema spesso lontano dal nostro, e considerato grossomodo noioso, rispetto al potenziale narrativo o letterale che può scaturire dai centri urbanizzati, dalla velocità del funzionamento delle metropoli, il funzionamento della nostra vita moderna di cui abbiamo sete di notizie?
La scelta di Alex Caselli è, per cominciare, la discrezione, e l’umiltà del suo soggetto, in seconda battuta, accompagnata da un’altrettanto discreta fiducia nel creato. E’ una spiritualità laica che ci fa pensare all’approccio storico del botanista Jean-Marie Pelt, in
Nature et spiritualité; se non fosse che Caselli non ci sprona nemmeno alla battaglia ecologica, per salvare la nostra Terra! E non ha l’ambizione montaliana di un Pierluigi Bacchini. Non ha retorica di fondo. Non dà il messaggio che solitamente ci hanno insegnato ad aspettarci dalla poesia. Sembra invece un antico poeta cinese che si nutre (verbo che torna nella raccolta) di contemplazioni rassicuranti e che studia il suo orto. Viene ancora in mente Wang Wei con sulle spalle la tradizione taoista quando esce in escursione. Ma di nuovo, Caselli non ne è consapevole, a lui interessa più Bertolucci, che sulla stessa regione gettava il suo occhio meravigliato.
Stupisce che un autore non ancora trentenne preferisca occuparsi del paradiso, lasciando il più agevole inferno ad altri.

Ma l’Eden di Caselli non è privo di inquietudini umane, o meglio animali: come le carpe che devono sfuggire alla rete, o il pesce che si vorrebbe veder balzare fuori dall’acqua, per dare uno stimolo al poeta. Il rischio della vita campestre è infatti la stasi, la possibile noia, una certa malinconia che Caselli tiene a bada con il proprio stupore. Non abbandonare il liquido amniotico (l’acqua è la principale figura ricorrente) sembra il suo progetto, per ora. Egli ci ricorda perennemente l’inizio e che la poesia è un’arte senza tempo. E’ quasi ironico per un primo libro. Qui sta ancora la maturità di Caselli. Per permettersi ciò, deve trovare lo stile più limpido possibile, una metrica leggera, senza virtuosismi, il terreno meno tortuoso. E ci riesce, dando prova di grande controllo e di una pulizia che servono bene la sua lirica meditativa. Il meglio sta tutto nei paesaggi, negli accostamenti di adulti e bambini, dove gli adulti finiscono per tornare fanciulli. E sembra davvero il lieto fine augurato. C’è qualcosa di ellenico e pastorale in questa voce che sconquassa le coordinate del lettore contemporaneo. Paradossalmente, egli dovrà tornare a scuola, per gustarsi meglio una semplicità pascoliana, dovrà aver voglia di riprendere i classici e notare che l’autore non ha alcuna fretta di mostrare ciò che ha imparato, quello che sa del mondo. Caselli gioisce, sempre  lateralmente rispetto a un suo quadro, mai in mezzo, ma gioisce, sì, di quel famoso inizio. Pochi versi memorabili forse, piuttosto atmosfere, pitture vive. Eccone un esempio che invita alla scoperta del libro:

Da un mondo all’altro l’intrusione
in maschera, di bimbo o d’uomo,
sulla soglia apparirebbe
come un bianco essere supremo
a una tribù d’indigeni.”

Alex Caselli, Giardino, Con-fine edizioni, Monghidoro (Bo), 2010, pp. 53, € 9

(See more at: http://www.attimpuri.it/2010/05/recensioni/alex-caselligiardino-di-fabrizio-bajec/#sthash.ado5OV84.dpuf)

Riapriamo i battenti con un nuovo ospite: Lorenzo Morandotti

crani e topi

Ci risvegliamo dal torpore estivo con un ospite dal linguaggio raffinato e denso. Lorenzo Morandotti le parole le usa per lavoro (è giornalista) e per passione (scrive poesie ma anche aforismi). Lo caratterizza uno stile asciutto, concentrato, e una costante attenzione per il lessico e per le sue valenze, per i raccordi segreti che si installano tra concetti apparentemente distanti.

Gli chiediamo subito: Perché scrivi poesia?

Mi mantengo vendendo parole, come minimo devo risarcirle di suoni e significati dopo averne abusato, non vi pare?

Quali sono i primi versi di una poesia o di una canzone che ti vengono in mente?

L’invitation au voyage
Mon enfant, ma soeur,
Songe à la douceur
D’aller là-bas vivre ensemble!
Aimer à loisir,
Aimer et mourir
Au pays qui te ressemble!

…Il caro Baudelaire

E se dovessi consigliarci consigliarci un libro?

Torno sempre ai “Pensieri” di Marco Aurelio, gira e rigira. Tutto il resto è superfluo.

Qual è la tua città “poetica” per eccellenza?

Assisi, una sedia e un tavolino sotto la Volta Pinta, con i suoi segni bizzarri e grotteschi. Uno dei luoghi più sereni dell’universo. Lasciatemi pure lì e dimenticatevi di me.

E ora quattro sue poesie, tratte rispettivamente dalle raccolte Musica per nei (le prime tre) e Nero Euridice (la quarta).
Cloroformio

Dietro la curva c’è il riposo

non altro di noi.

Partono case bruciate

l’albero geme di nascosto

fiorisce un punto

di corolle e aromi,

una sagoma limite rivela:

«Siate candidi come serpenti»

 

***

 

Quel miele

 

Sarà forse il bollitore

il suono della pioggia

ma penso mia sorella

le ore che non visse

a quello poi durato

solo per metà,

a chi mai fecondata

faceva da corriere

 

Disarmo e pane sei

vento e mormorio

duna che prende

mio alfabeto e guaio

 

Vela sei, relitto

gelo in controluce

altare di vigilia

 

Hai un volto d’uva

veglio per non deluderti

come farebbe un cane.

Nascere è la nostra storia,

insegue la faccia

di quello che siamo

 

Saltella nel cilindro primavera

acqua sei

che danza in acqua

meglio dei coralli

dipingi sulla schiena

oceani dentro fiori

 

***

 

Fiamma

 

6 settembre

 

La mano che apre

non ha bisogno

nemmeno dell’altra

 

La luna se invecchia fiorisce

nel cono dell’ombra

fa l’anagramma

e poi lo dimentica

 

L’acqua è grata, sa

dove piovono

le ciglia quando cadono:

stanno ferme a mezzanotte

poi non le trovi più

 

***

 

Del civile errore

 

L’odore del mattino

al posto di preghiera,

la testa del bambino

vede solo cibo vede

resina e lumache

lo spigolo indumento

 

È solo una foto ma ti guarda

fata neutra

dalla cenere biscotto

 

A naso mezzanotte

il corpo fende l’aria

utile e preciso

in calce alla sua meta

una bicicletta cade

priva di conducente

per questo dico urgente

fare benzina

di quello che vedi

 

La stanza dove si erano picchiati

è già piena di fuoco

ma le tenebre che l’orlo situava

lontano dalla pioggia dalle braci

vibrano in silenzio

 

L’anno del reato possa dire

dove sta la differenza

fra la terra e gli eroi:

la mia anima è umana

come tutte le vostre

volta

 

 

Lorenzo Morandotti è nato a Milano nel 1966. Giornalista, lavora al “Corriere di Como”, abbinato al “Corriere della Sera”, dove cura anche l’inserto settimanale dedicato al tempo libero “Vivicomo”. Collabora con il periodico di letteratura “Satisfiction”. Ha pubblicato la raccolta di poesie “Respirazione” (Manni, 2001) e varie plaquettes  abbinate a opere di artisti (per gli editori Pulcinoelefante, Lithos, Il Salotto). Ha appena pubblicato la raccolta di prose “Crani e topi” nella collana “Ars Amandi” dell’editore ES di Milano.

Piazze sommerse dal mare, rioni bolognesi, fiumi: i microcosmi dell’iraniano Nader Ghazvinizadeh, ospite di oggi. Con un’immagine di Alessandro Cemolin.

Alessandro Cemolin

“I suoi personaggi prediletti sono i migranti, gente che soffre lo spostamento e coglie le differenze. Persone ancora sensibili al passaggio, al cambiamento. Non sono i viaggiatori con auricolare, in giacca e cravatta, che guardano annoiati l’orizzonte, dietro a una vetrata di aeroporto.”

Così Fabrizio Bajec in una recensione della silloge di Nader Ghazvinizadeh, Metropoli (la trovate in http://www.attimpuri.it); e dal passaggio si arriva alle città e ai microcosmi che le abitano. Quelli di Ghazvinizadeh sono luoghi vissuti dal basso, da un incedere lento e preciso che ne percorre instancabilmente strade e paesaggi, ne condensa le atmosfere e coglie il desiderio di radici e lo spaesamento dell’umanità che li popolano.

Seguiamo quindi subito Nader Ghazvinizadeh nelle sue geografie e poi facciamogli qualche domanda: sui luoghi, sulla letteratura, sulla poesia.

Nel crocevia dei prati

i piani intersecanti agli orizzonti

Galeazza, Camposanto, Palata, Bevilacqua

lontano l’ultimo quartiere

le mie decumane gelate come spiagge

che hanno la piazza in mare

come relitto in secca la cattedrale

vive di buio la croce greca, opale

d’architravi l’avanguardia alle scale

uomini argentati le periferie: armature.

Andiamo in giro per le strade

e sappiamo che là, in fondo alle case

stan facendo qualcosa

è un paese sovrappensiero

piove piano sul Po

piove che non si vede, che sembra niente

essendo il fiume come lo stradone che non abbiamo

non ci pensiamo e facciamo i nostri conti

con le carte da tressette e la luce intermittente

delle lampadine, che sono lì dall’ultima alluvione

essendo un fiume come una bestia che respira

di volte ansima, di volte sospira

tra il silenzio e quel che non diciamo

c’è un fiume del quale non parliamo

fecondo Gennaio il mese convesso

cieli presagi di frumento

metabolismo muto nei campi in amplesso

abdica il corvo muto e si fa nevaio

il sonno si prende e si perde a metà notte

città/voliera città/granaio

Nei ristoranti al mare

col brutto tempo, la domenica di Pasqua

tra una portata e l’altra si scendeva sulla spiaggia

le scarpe in mano, i piedi sulla sabbia

facendo le prove per la nuova estate

nei ricordi il vento ha cancellato lo sfondo

finiva l’età dell’innocenza

lo sguardo volto ai convitati

coi tacchi alti le ragazze finivano l’adolescenza

le chiamavano indietro per la nuova portata

una cresima, un fidanzamento

confidando i progetti per l’estate

come una febbre da lì a venire

nel ristorante al mare

con l’acqua minerale, il vino bianco

i ricordi hanno cancellato i camerieri

Nader, qual è la tua città “poetica” per eccellenza?

Non una città, non un quartiere, ma un rione: Il Gandusio, Bologna: per me è un aldilà, l’eterno ritorno, dove il giudizio sul mondo è sospeso, nel senso che tutto è già accaduto e non se ne parla. È il luogo che mi torna subliminale alla mente quando sono altrove e segna il momento nel quale è giusto tornare a Bologna.

E quale libro vorresti consigliarci?

Cargo, di Simenon. È un libro limitato nel senso di compiuto, lo si chiude ed è finito, ricomincia ogni volta che lo si riapre e lo si può riaprire in qualsiasi punto ed è da lì che riprende l’entropia. È un libro di avventura, l’avventura è la letteratura, lascia non detto tutto ciò che dice ed, appunto, ha già detto, Melville.

Quali sono i primi versi di una poesia o di una canzone che ti vengono in mente?

La bellezza è cattiva, la mia mano non ci arriva, scritta da Fossati e cantata da Fiorella Mannoia. Fossati è un cantautore mediocre, la Mannoia corriva, ma quando si parla di versi, spesso la fiammata non arriva dai più alti. E’ un impasto di sale e grano per grano viene un verso semplice, un pensiero ad alta voce, che mistifica e non mente.

Un’ultima domanda. Perché poesia?

La maieutica occidentale si risolve in questo, la poesia è autodidattica, ma non insegna a scrivere.

Nader Ghazvinizadeh (1977), iraniano, vive a Bologna. Lavora come professore in un collegio svizzero, è giornalista radiofonico, ha collaborato a diversi quotidiani scrivendo di criminologia e urbanistica ed allena una squadra di calcio. Sua le sceneggiature dei film “Drobgnac“ e “Apocalisse in Via Orfeo“. Suoi testi si possono trovare in Dieci poeti italiani (Pendragon, 202), Poesia. Narrativa (La Meridiana, 2003), Annuario di poesia 2004 (Castelvecchi, 2004) e Ai confini del verso. Poesia della migrazione in italiano (Le Lettere, 2006). Ha pubblicato la raccolta poetica Arte di fare il bagno (Postfazione di Roberto Roversi, Giraldi 2004) e Metropoli (cfr – poiein, 2011); ultimamente ha completato i racconti Cosmonauti e Un prete a Ripoli

Alessandro Cemolin (Treviso 1974), designer e artista che vive e lavora a Berlino, è l’autore di Strutture, l’immagine di copertina (penna, matita e caffé su carta)

L’ospite del lunedì: poesia e magia per Agata Spinelli

damm - di Andrea Nisticò

Parlavo pochi giorni fa con un’amica amante della lettura, che mi raccontava della difficoltà, sua e di molti, di avvicinarsi alla poesia.

Come se leggere liriche fosse un’impresa ardua, per pochi eletti; una specie di scalata a cui possono accedere solo persone allenate e dalla volontà di ferro. Colpa della scuola, forse, e di come seppellisce il piacere del testo attraverso pesanti apparati critici; o anche di una certa moda per cui l’essere inintelligibile è segno elitario di virtù.

Non è il caso delle poesie di Agata Spinelli, giovane poeta pugliese trapiantata a Berlino e nostra ospite di oggi, che ci racconta: „Mi ha detto una volta un poeta, che la poesia è come la magia. Ed è vero. È come andare a vedere lo spettacolo di un mago illusionista bravissimo. Sei concentratissimo, lo show ha un effetto incantatorio, come la musica che tira fuori i serpenti dalla teca. Tu ti senti incantato e allo stesso tempo cerchi di concentrarti per capire dove sta il trucco. E nonostante il trucco, senti che ad essere svelato è un altro pezzo di verità. A cui non saresti arrivato da solo. Ha un effetto ipnotico e anche di grande focalizzazione. Se vi piacciono gli spettacoli di magia, quelli fatti ad arte….“

Poesia come magia quindi, come piccolo incanto quotidiano. Ed ecco due sue poesie – oggi abbinate ad un’immagine del fotografo Andrea Nisticò.

 

Nel sogno io indosso

un vestito di tulle bianco

una medusa diventa

quando l’acqua sale  fino al collo

e galleggia  nel confondersi

alla schiuma delle onde.  D’un tratto

non si distingue né il mare

né la donna né il vestito

 

di tulle bianco

 

***

 

Il cuore come un bambino scalcia

con ritmi irregolari mentre fuori

si alternano giorni di primavera

a giorni d’autunno come se il sole

svogliato pure scalciasse e io

vigile e fiera impero sulla mia

inquietudine, placenta,

cassa mortuaria.

 

Agata, sei arrivata dalla Puglia a Berlino, passando per Londra e per diverse città italiane. Qual è la tua città poetica per eccellenza?

 Voglio sperare che sia Lisbona. Il sogno di andarci lo covo da tempo, spero di realizzarlo nei prossimi dodici mesi. Quello che sento è che deve essere una specie di Napoli (città in cui ho vissuto e che amo moltissimo) senza però gli aspetti viscerali/nocivi della napoletanità. E poi con l’oceano. E infine proprio per spaziare, oltre alle città, il mio luogo poetico per eccellenza è la campagna pugliese.

Poesia o prosa: ci puoi consigliare un libro?

L’arte della gioia di Goliarda Sapienza.

Finiamo con una domanda ormai rituale: quali sono i primi versi di una canzone o di una poesia che ti vengono in mente?

“When you were here before/couldn’t look you in the eye/you’re just like an angel/your skin makes me cry”. Questa è creep dei Radiohead. La mia adolescenza, gli anni ’90.

 

Agata Spinelli è nata nel 1979 in provincia di Bari. ha cominciato a scrivere nel 2004. Alcuni suoi testi sono apparsi tra il 2006 e il 2007 sulla rivista d’arte e letteratura Passages e su Specchio de La Stampa. Nel 2007 è tra i finalisti della sezione giovani del premio “Cetonaverde Poesia” e nel 2008 partecipa alla Biennale dei Giovani artisti d’Europa e del Mediterraneo, nella sezione letteratura. Negli stessi anni è attiva con il gruppo POÈSIA nell’organizzare letture pubbliche di poesia. Nel 2013 è tra i selezionati al concorso “Verba Agrestia” e i suoi testi appaiono nell’antologia dedicata ai poeti pugliesi A sud del sud dei santi curata da Michelangelo Zizzi. Vive a Berlino dal 2008. 

 

Andrea Nisticò studia fotografia e lavora a Napoli come fotografo, concentrandosi soprattutto sulla fotografia in bianco e nero. Ha al suo attivo mostre personali e collettive. Dal 2004 dirige l’associazione di fotografia Trentasettesimofotogramma che organizza mostre, eventi, corsi e workshops. Dal 2008 vive a Berlino. La fotografia che presentiamo fa parte della serie “Damm”. Altri suoi lavori li trovate sulla sua pagina internet:

http://www.andreanistico.com

Due poesie di Roberto Agostini

In ogni salotto  che si rispetti c’è un ospite da fare accomodare sul divano e a cui lasciare un po’  la parola.  Quello di oggi è il poeta, giornalista e scrittore Roberto Agostini.

Gli ho fatto, un po’ per gioco, un po’ per sciogliere il ghiaccio, tre domande:

Dimmi i primi tre versi di una poesia o di una canzone che ti vengono in mente.

Mi ritorni in mente, bella come sei…

C’è un libro particolare che vuoi consigliarci? 

Nelle letture vado a ondate. Cerco qualcosa che mi è rimasto nel tempo ed è L’isola del tesoro. Però, con l’aggiunta di un ” fiore” di Baudelaire, sempre.

Una città in cui vorresti andare o in cui vorresti ritornare.  

È la città dove arrivai a diciannove anni, in una meravigliosa quasi alba, la città dove pensai di essere già nato: Parigi. Se vinco alla lotteria…

E ora lascio parlare le sue poesie

 

DOVE SEI E DOVE SEI

chiuso nel mio rifugio sento la pezza

fatta di lana

e la stella

stessa

e la tua bocca

che è stata una ridicola cesura

 

e quando la tormenta batterà

dall’alba

scambieremo

neve eterna

 

continua

e di seta avvolgi frutta

perché conosco il bruto

sui quaderni d’aquiloni

(da “PLAQUETTE”)

 

MILANO

 

Spogliati in autunno, veniamo dai letti,

coperture, soffici, umbrae,

schiere, tralasciati o interrotti con lampade

appena

 

Spogliati della fonte inestinguibile, che non sapevamo, capiamo,

il lumicino e la sua corda, per queste giornate e queste labbra di cera

(da “ONDE DEL RITORNO”)

 

Un accenno biografico:

Giornalista e scrittore, Agostini è nato a Milano, dove si è laureato in filosofia e diplomato in regia alla Scuola del Piccolo Teatro. Ha lavorato nell’informazione e nell’editoria, è stato critico teatrale per La Repubblica, collaboratore di periodici e trasmissioni radio-televisive, direttore editoriale. Sue pubblicazioni sono apparse da Rizzoli, Fabbri, Pearson, Mondadori-Dorling-Kindersley, RBA, NER, Ubulibri. Le sue raccolte poetiche – segnalate ai premi Lorenzo Montano e Giovanni De Scalzo – sono: Mattini antartici (2008), Plaquette (2012), Onde del ritorno (2012), Minime (2013) e il poema La creazione. Dal 2008 organizza gruppi di scrittura e lettura in biblioteche e librerie. La Scuola di Scrittura Roberto Agostini è presente su Facebook. Vive fra Milano e Berlino.

 

La sua pagina su fb è

https://www.facebook.com/ScuolaDiScritturaRobertoAgostini?fref=ts