A passeggio per le piazze di Roma con la poetessa Patrizia Cavalli

piazza navona

Le camminate senza meta sortiscono alle volte effetti insperati. Soprattutto se si cammina per la „felice bellezza negligente“ di Roma. Evitate le „feroci piazze“, quelle di cui parla una poetessa (il riferimento esplicito è a Campo de’ Fiori) che non invitano più alla sosta ma alla fuga, offrendo uno spettacolo intasato di „tavoli, ombrelli, sediole” e magari, svicolando per altre vie, troverete librerie fornitissime dove acquistare con pochi euro libretti mignon che vi parleranno proprio della città che state visitando…

Sembra un rebus ma sto parlando di un semplice libretto dalla veste grafica essenziale, dalla copertina gialla, dal costo di euro tre, per la collana I sassi dell’editore nottetempo. Tre euro ormai a Roma è il prezzo di un gelato – senza panna, credo. Panna spirituale in abbondanza, e senza ingrassare, ne avrete invece leggendo i versi di Patrizia Cavalli di cui sto parlando: due poemetti raccolti sotto il titolo „La Guardiana“.

Il secondo poemetto, da cui sono tratti i versi che abbiamo citato all’inizio, è dedicato alle piazze di Roma. A quello che erano, ossia un vuoto che apparteneva a tutti e che invitava ad una sosta meditativa e libera, senza apericena o cappuccini: „È naturale che si vada in piazza,/ ci vanno tutti, e certo non c’è piazza / che si attraversi in fretta: quasi una timidezza / rallenta i passi alle fontane, all’acqua / che fa il suo giro e ritorna su se stessa. / La mente sosta insieme al corpo e guarda / lo spazio e l’aria del riposo, ossia / la piazza“. E a quello che sono diventate: uno spazio sequestrato, trasformato in gabbia, da riempire ad ogni costo, non importa come: „chiasso puzze concerti promozioni / i cinquemila culturali eventi / fiere-mercato libri chioschi incensi / corpi seduti o in piedi nella mischia, /perché sia tutto pieno, dura festa“.

Il primo poemetto, quello che dà il titolo alla raccolta, è invece la lieve e arguta (userei qui l’aggettivo „filosofica“, se non temessi di far scappare potenziali lettori) storia di un corteggiamento; anzi, di due: quello per una donna e quello per la poesia.

Ed è un corteggiamento- concerto di chiavi e di porte, di segreti e paradisi celati da portoni serrati, di cui bisogna trovare il punto debole, per poi scoprire che il paradiso è tale solo perché custodito, inaccessibile, e che sparisce non appena la chiave gira, e la porta si apre…

Il lento procedere dello scassinatore che non riesce a far scattare la serratura, il goffo corteggiamento con parole che non sono che le „vuote prove di un avvocato /che voglia impratichirsi del mestiere“ mirate a sciogliere la ritrosia della Guardiana, custode di „delizie talmente ineludibili e fatali / che anche la guardiana ne sarebbe persa“ è soprattutto il canto di una nostalgia, di un „balletto zoppo“ e poeticamente elegantissimo, nell’attesa del „suono che si leva da ogni chiusa / materia, che non aspetta altro / che aprirsi e darsi in dono /ma solo a chi è già pronto per quel suono“.

E verrà da sorridere anche a voi sull’umanissima comune attesa che si aprano portoni per accoglierci in stanze luminose e rivelarci tesori, mentre la verità è che “eppure lo sapevo, lo sapevo / che a quella porta non si apriva alcun mistero / era una porta una qualsiasi porta / e nel cassetto c’era quel che c’era, / e non soltanto io, chiunque lo sapeva”.

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