“Non fuggirò a Nord, Dio”. La poesia del palestinese Najwan Darwish

bashir vero

Lui si chiama Najwan Darwish ed è una delle voci più interessanti della poesia araba contemporanea.  È palestinese; le sue poesie parlano di oppressori ed oppressi, di una quoditianità fatta di bombardamenti, di una normalità stranita e surreale, amarissima. E lo fa con un tocco inconfondibile, con un’ironia lucida e spiazzante. Quando lo incontriamo al festival di poesia di Tunisi dice di non voler scrivere poesia dichiaratamente politica, ma che lo scrittore è, come tutti, preso nel mondo, e che non può fare a meno di parlarne. Ci descrive le difficoltà che incontra ogni volta che esce da Gerusalemme per la sua attività di poeta e giornalista, degli interminabili interrogatori in aeroporto. Racconta e ride: è l’ironia la dignità più forte.

Nato nel 1978 da genitori palestinesi esiliati a Gerusalemme, Darwish ha esordito nel 2000. Le sue poesie sono tradotte in 19 lingue.

Le traduzioni che presento qui sono dal francese e dall’inglese, dalle raccolte Nothing more to lose (NYRB 2014),  e Je me lèverai un jour (Al-Feel, 2012).Spero che presto qualche arabista ci pensi lui…

 

Sonno a Gaza

 Fado, dormirò come si dorme

quando gli aerei bombardano

e l’aria si lacera

come carne viva

Sognerò dunque di tradimenti

come si sogna dormendo

quando gli aerei bombardano

 

A mezzogiorno mi sveglierò

per interrogare la radio

come fanno tutti gli altri:

C’è una tregua? Quanti morti?

 

Ma la mia tragedia, Fado,

è che ci sono due tipi di persone:

Quelle che buttano le loro sofferenze

e i loro peccati in mezzo alle strade

per potersi addormentare

E quelli che fondono le sofferenze

e i peccati in forma di croce

e la portano in processione

per le strade di Babilonia, di Gaza e di Beirut

gridando: Ancora!

Ancora!

 

Due anni fa camminavo

per le strade di Dahieh

alla periferia sud di Beirut

e trascinavo una croce grossa

come le macerie di un palazzo

Ma ora, chi toglierà la croce

dalla schiena di un uomo sfinito a Gerusalemme?

 

La terra: tre chiodi

E la misericordia: un manganello.

Colpisci, Dio,

colpisci con gli aerei

Ancora!

 

 

Il bus degli incubi

Li ho visti infilare le mie zie

in sacchi di plastica nera

dove il loro sangue caldo

si accumulava in pozze

(Ma io non ho zie)

Ho saputo che hanno ucciso Natasha,

mia figlia di tre anni

(Ma io non ho figlie)

Mi è stato detto che hanno violentato mia moglie

l’hanno trascinata per le scale e poi lasciata per la strada

(Ma io non sono sposato)

Non c’è dubbio, gli occhiali che i loro stivali

hanno fatto a pezzi sono proprio i miei

(Ma io non porto occhiali)

Dormivo a casa dei miei genitori

e sognavo di andare da lei. Al risveglio

ho visto i miei fratelli

impiccati al soffitto

della chiesa del Santo Sepolcro

Mosso a pietà, Dio diceva: „Questo

è il mio dolore“.

Io raccoglievo l’orgoglio degli impiccati e dicevo:

„No, è il nostro!“

 …

Il dolore illumina e mi diventa più caro

dei miei stessi incubi.

….

Non fuggirò a Nord

Dio

Non mettermi tra quelli che cercano

un rifugio

 

-continueremo più tardi a fare questi conti

 

Adesso è ora di andare a dormire

non voglio essere in ritardo per il bus

degli incubi che va a Sabra e Shatila…

 

Il paradiso

 Ci risvegliammo un giorno in paradiso

e gli angeli ci colsero di sorpresa

brandendo contro di noi strofinacci

e manici di scopa

– Il vostro alito odora di alcol

le vostre tasche sono tutte piene

di poemi e di eresie…

 

-Calmatevi, servitori di Dio, gli abbiamo detto:

desideravamo solo passare una mattina

ad Haifa. I nostri sogni ci hanno portato qui

per errore.

 

 

Chi si ricorda degli Armeni?

 Io mi ricordo di loro:

con loro ogni notte

salgo sul bus degli incubi

con loro stamattina

bevo il mio caffè.

 

Ma voi, assassini –

Chi si ricorda di voi?

 

Maria

 Ultimamente mia madre è ossessionata

dai libri su Gesù. Vicino al suo letto pile

di volumi, spesso presi in prestito

dalla mia biblioteca: romanzi, manuali, confessioni,

autori in polemica tra loro. Se mi capita di passare

vicino alla sua stanza, subito mi chiama perché

io intervenga a dirimere le loro questioni.

(Poco tempo fa, ho soccorso uno storico di nome Kamal Salibi

a cui una pietra cattolica aveva squarciato la fronte)

Prende le sue ricerche su Gesù molto sul serio,

questa donna che ho sempre deluso – non sono caduto

martire ai tempi della prima Intifada, né nella seconda,

e nemmeno nella terza.

Detto tra noi, non cadrò martire in nessuna

delle prossime intifada.

E non morirò ucciso da una cicogna imbottita di esplosivo.

Lei legge e la sua immaginazione ortodossa mi

crocifigge ad ogni pagina

E io non faccio nient’altro che rifornirla

di libri e di chiodi!

 

Come questi alberi

 Gli alberi oscillano

ben attenti a non cadere

Perché se gli alberi cadono,

la terra qui non li accoglie:

né lei né nessun altro.

E visto che gli alberi

non riescono più a sopportare il marcire delle radici

visto che hanno scelto di diventare alti nel vento

devono pagarne il prezzo e cadere senza fine.

 

E per questo, ti prego, quando cammini in bilico

sui marciapiedi, stai attento

perché anche tu cadrai senza fine

 

Non c’è niente di male ad immaginare alberi

che si dondolano assieme a te

e un vento che ti prende al volo mentre cadi

Tu che hai vissuto come questi alberi,

senza terra

né radici.

 

L’immagine  è tratta dal film “Waltz with Bashir” di Ari Folman.

Piazze sommerse dal mare, rioni bolognesi, fiumi: i microcosmi dell’iraniano Nader Ghazvinizadeh, ospite di oggi. Con un’immagine di Alessandro Cemolin.

Alessandro Cemolin

“I suoi personaggi prediletti sono i migranti, gente che soffre lo spostamento e coglie le differenze. Persone ancora sensibili al passaggio, al cambiamento. Non sono i viaggiatori con auricolare, in giacca e cravatta, che guardano annoiati l’orizzonte, dietro a una vetrata di aeroporto.”

Così Fabrizio Bajec in una recensione della silloge di Nader Ghazvinizadeh, Metropoli (la trovate in http://www.attimpuri.it); e dal passaggio si arriva alle città e ai microcosmi che le abitano. Quelli di Ghazvinizadeh sono luoghi vissuti dal basso, da un incedere lento e preciso che ne percorre instancabilmente strade e paesaggi, ne condensa le atmosfere e coglie il desiderio di radici e lo spaesamento dell’umanità che li popolano.

Seguiamo quindi subito Nader Ghazvinizadeh nelle sue geografie e poi facciamogli qualche domanda: sui luoghi, sulla letteratura, sulla poesia.

Nel crocevia dei prati

i piani intersecanti agli orizzonti

Galeazza, Camposanto, Palata, Bevilacqua

lontano l’ultimo quartiere

le mie decumane gelate come spiagge

che hanno la piazza in mare

come relitto in secca la cattedrale

vive di buio la croce greca, opale

d’architravi l’avanguardia alle scale

uomini argentati le periferie: armature.

Andiamo in giro per le strade

e sappiamo che là, in fondo alle case

stan facendo qualcosa

è un paese sovrappensiero

piove piano sul Po

piove che non si vede, che sembra niente

essendo il fiume come lo stradone che non abbiamo

non ci pensiamo e facciamo i nostri conti

con le carte da tressette e la luce intermittente

delle lampadine, che sono lì dall’ultima alluvione

essendo un fiume come una bestia che respira

di volte ansima, di volte sospira

tra il silenzio e quel che non diciamo

c’è un fiume del quale non parliamo

fecondo Gennaio il mese convesso

cieli presagi di frumento

metabolismo muto nei campi in amplesso

abdica il corvo muto e si fa nevaio

il sonno si prende e si perde a metà notte

città/voliera città/granaio

Nei ristoranti al mare

col brutto tempo, la domenica di Pasqua

tra una portata e l’altra si scendeva sulla spiaggia

le scarpe in mano, i piedi sulla sabbia

facendo le prove per la nuova estate

nei ricordi il vento ha cancellato lo sfondo

finiva l’età dell’innocenza

lo sguardo volto ai convitati

coi tacchi alti le ragazze finivano l’adolescenza

le chiamavano indietro per la nuova portata

una cresima, un fidanzamento

confidando i progetti per l’estate

come una febbre da lì a venire

nel ristorante al mare

con l’acqua minerale, il vino bianco

i ricordi hanno cancellato i camerieri

Nader, qual è la tua città “poetica” per eccellenza?

Non una città, non un quartiere, ma un rione: Il Gandusio, Bologna: per me è un aldilà, l’eterno ritorno, dove il giudizio sul mondo è sospeso, nel senso che tutto è già accaduto e non se ne parla. È il luogo che mi torna subliminale alla mente quando sono altrove e segna il momento nel quale è giusto tornare a Bologna.

E quale libro vorresti consigliarci?

Cargo, di Simenon. È un libro limitato nel senso di compiuto, lo si chiude ed è finito, ricomincia ogni volta che lo si riapre e lo si può riaprire in qualsiasi punto ed è da lì che riprende l’entropia. È un libro di avventura, l’avventura è la letteratura, lascia non detto tutto ciò che dice ed, appunto, ha già detto, Melville.

Quali sono i primi versi di una poesia o di una canzone che ti vengono in mente?

La bellezza è cattiva, la mia mano non ci arriva, scritta da Fossati e cantata da Fiorella Mannoia. Fossati è un cantautore mediocre, la Mannoia corriva, ma quando si parla di versi, spesso la fiammata non arriva dai più alti. E’ un impasto di sale e grano per grano viene un verso semplice, un pensiero ad alta voce, che mistifica e non mente.

Un’ultima domanda. Perché poesia?

La maieutica occidentale si risolve in questo, la poesia è autodidattica, ma non insegna a scrivere.

Nader Ghazvinizadeh (1977), iraniano, vive a Bologna. Lavora come professore in un collegio svizzero, è giornalista radiofonico, ha collaborato a diversi quotidiani scrivendo di criminologia e urbanistica ed allena una squadra di calcio. Sua le sceneggiature dei film “Drobgnac“ e “Apocalisse in Via Orfeo“. Suoi testi si possono trovare in Dieci poeti italiani (Pendragon, 202), Poesia. Narrativa (La Meridiana, 2003), Annuario di poesia 2004 (Castelvecchi, 2004) e Ai confini del verso. Poesia della migrazione in italiano (Le Lettere, 2006). Ha pubblicato la raccolta poetica Arte di fare il bagno (Postfazione di Roberto Roversi, Giraldi 2004) e Metropoli (cfr – poiein, 2011); ultimamente ha completato i racconti Cosmonauti e Un prete a Ripoli

Alessandro Cemolin (Treviso 1974), designer e artista che vive e lavora a Berlino, è l’autore di Strutture, l’immagine di copertina (penna, matita e caffé su carta)

Nuotando tra gli animali e i miti nell’acquario del poeta Jeffrey Yang

 

 

Immagine di copertina di Ein Aquarium

Non sul fondo del mare, ma tra gli scaffali di una delle librerie meglio fornite di Berlino (Dussmann, nella Friedrichstrasse) ho trovato uno di quei libri che si prospettano come piccole delizie: per la grafica, il verde acqua rinfrescante della copertina, e per la precisa delicatezza del contenuto.

„An aquarium“ è un acquario di versi dal tema a tutta prima velleitario: dalla A alla Z della fauna marina, dagli anemoni alla zooxanthella. Ma dietro l’arbitrarietà del tema e dietro l’apparente aridità della classificazione si nasconde uno sguardo filosofico, la capacità di accennare in brevi versi alla complessità del piccolo, di seguire e creare connessioni con la mitologia legata all’oceano e con il mondo dell’umano. Il poeta, traduttore dal cinese e redattore Jeffrey Yang, nato nel 1974, anima il suo acquario di richiami filosofici (da Aristotele, a Spinoza, alla filosofia orientale), di accenni teologici, ma anche di personaggi storici come Garibaldi, o di brevi, spiritose descrizioni come queste:

 

EEL

Eels are slimy creatures.

But never lie. If they sense

the slightest pretence, they’ll

bite off your finger. Carefully

study the hands of politicians.

 

ANGUILLA

Le anguille sono creature viscide.

Ma non mentono mai. Se fingi,

subito se ne accorgono: con un

morso ti staccano il dito. Osserva

attentamente le mani dei politici.

 

Dolphins

The Greeks thought dolphins

were once men. The Chinese

river dolphin was a goddess.

Scientists tell us that if we

rearrange a few of our genes,

we’d become dolphins. Wouldn’t

that be real progress!

 

 

Delfini

I delfini un tempo erano uomini,

pensavano i Greci. Per i cinesi

il delfino d’acqua dolce era una dea.

La scienza ci dice: riorganizzando

appena un paio dei nostri geni

diventeremmo delfini. Questo sì

sarebbe un vero progresso!

 

L’edizione a cui ci riferiamo, in tedesco con originale a fronte, è “Ein Aquarium”, ed. Berenberg

Jeffrey Yang

 

La “terra impareggiabile” di Sicilia: via dalle aule scolastiche per passeggiare con Salvatore Quasimodo.

 lavventura12

Alla prova della maturità di oggi una poesia di Salvatore Quasimodo. Il nome di Quasimodo è legato, nell’animo di tutti gli studenti italiani, ad un certo sentimento di gratitudine: per essere autore di una delle poesie più brevi e più facili da imparare a memoria di tutto il curriculum scolastico (non la cito, sarebbe troppo facile). È il bello dell’ermetismo: dire molto con poco.

La lirica proposta oggi, tratta da “Ed è subito sera”, è poco più lunga e dolcemente legata ad un paesaggio mediterraneo. Chissà se sarebbe stato più facile, per qualcuno degli studenti, interpretare la poesia conoscendo i luoghi che il poeta aveva in mente scrivendo.

La possibiltà c’è: al siciliano Salvatore Quasimodo è stato dedicato un parco letterario nella sua città natale, Modica, in provincia di Ragusa. Una buona occasione per unire cioccolato, barocco e percorsi che si snodano a partire dalla casa natale del poeta, legatissimo alla Sicilia, che definiva “terra impareggiabile”: per lui, trasferitosi già durante gli studi universitari nel Nord Italia, una Sicilia di nostalgia, di mito e di sogno, Sicilia di lontananze e di paesaggi impregnati ancora di Magna Grecia (se volete leggere di un’altra Sicilia, descritta da un altro siciliano trasferito a Milano e anche cognato di Quasimodo: le meravigliose “Conversazioni in Sicilia” di Elio Vittorini).

Informazioni, molto concrete, sul parco letterario dedicato a Quasimodo, sono qui:

http://www.parchiletterari.com/parchi/quasimodo/index.php

http://www.parcoquasimodo.it/contattaci.htm

E ovviamente non può mancare la poesia della maturità. Se la volete leggere con un buon apparato critico e le famose note a piè di pagina, vi consiglio il sito della Treccani: http://www.treccani.it/magazine/strumenti/una_poesia_al_giorno/10_01_quasimodo_salvatore.html.

Se invece volete avere un esempio di analisi del testo come ci si aspetta che sia, ed avere un esempio scolastico di come sbadigliare abbondantemente su una poesia prendendo buoni voti, il sito fanpage mette a disposizione un analisi del testo da dieci e lode. http://www.fanpage.it/analisi-del-testo-svolta-quasimodo/

E finalmente Quasimodo:

Ride la gazza, nera sugli aranci

Forse è un segno vero della vita:
intorno a me fanciulli con leggeri
moti del capo danzano in un gioco
di cadenze e di voci lungo il prato
della chiesa. Pietà della sera, ombre
riaccese sopra l’erba così verde,
bellissime nel fuoco della luna!
Memoria vi concede breve sonno; …
ora, destatevi. Ecco, scroscia il pozzo
per la prima marea. Questa è l’ora:
non più mia, arsi, remoti simulacri.
E tu vento del sud forte di zàgare,
spingi la luna dove nudi dormono
fanciulli, forza il puledro sui campi
umidi d’orme di cavalle, apri
il mare, alza le nuvole dagli alberi:
già l’airone s’avanza verso l’acqua
e fiuta lento il fango tra le spine,
ride la gazza, nera sugli aranci.

(Immagine tratta da “L’avventura” di Michelangelo Antonioni).

L’ospite del lunedì: poesia e magia per Agata Spinelli

damm - di Andrea Nisticò

Parlavo pochi giorni fa con un’amica amante della lettura, che mi raccontava della difficoltà, sua e di molti, di avvicinarsi alla poesia.

Come se leggere liriche fosse un’impresa ardua, per pochi eletti; una specie di scalata a cui possono accedere solo persone allenate e dalla volontà di ferro. Colpa della scuola, forse, e di come seppellisce il piacere del testo attraverso pesanti apparati critici; o anche di una certa moda per cui l’essere inintelligibile è segno elitario di virtù.

Non è il caso delle poesie di Agata Spinelli, giovane poeta pugliese trapiantata a Berlino e nostra ospite di oggi, che ci racconta: „Mi ha detto una volta un poeta, che la poesia è come la magia. Ed è vero. È come andare a vedere lo spettacolo di un mago illusionista bravissimo. Sei concentratissimo, lo show ha un effetto incantatorio, come la musica che tira fuori i serpenti dalla teca. Tu ti senti incantato e allo stesso tempo cerchi di concentrarti per capire dove sta il trucco. E nonostante il trucco, senti che ad essere svelato è un altro pezzo di verità. A cui non saresti arrivato da solo. Ha un effetto ipnotico e anche di grande focalizzazione. Se vi piacciono gli spettacoli di magia, quelli fatti ad arte….“

Poesia come magia quindi, come piccolo incanto quotidiano. Ed ecco due sue poesie – oggi abbinate ad un’immagine del fotografo Andrea Nisticò.

 

Nel sogno io indosso

un vestito di tulle bianco

una medusa diventa

quando l’acqua sale  fino al collo

e galleggia  nel confondersi

alla schiuma delle onde.  D’un tratto

non si distingue né il mare

né la donna né il vestito

 

di tulle bianco

 

***

 

Il cuore come un bambino scalcia

con ritmi irregolari mentre fuori

si alternano giorni di primavera

a giorni d’autunno come se il sole

svogliato pure scalciasse e io

vigile e fiera impero sulla mia

inquietudine, placenta,

cassa mortuaria.

 

Agata, sei arrivata dalla Puglia a Berlino, passando per Londra e per diverse città italiane. Qual è la tua città poetica per eccellenza?

 Voglio sperare che sia Lisbona. Il sogno di andarci lo covo da tempo, spero di realizzarlo nei prossimi dodici mesi. Quello che sento è che deve essere una specie di Napoli (città in cui ho vissuto e che amo moltissimo) senza però gli aspetti viscerali/nocivi della napoletanità. E poi con l’oceano. E infine proprio per spaziare, oltre alle città, il mio luogo poetico per eccellenza è la campagna pugliese.

Poesia o prosa: ci puoi consigliare un libro?

L’arte della gioia di Goliarda Sapienza.

Finiamo con una domanda ormai rituale: quali sono i primi versi di una canzone o di una poesia che ti vengono in mente?

“When you were here before/couldn’t look you in the eye/you’re just like an angel/your skin makes me cry”. Questa è creep dei Radiohead. La mia adolescenza, gli anni ’90.

 

Agata Spinelli è nata nel 1979 in provincia di Bari. ha cominciato a scrivere nel 2004. Alcuni suoi testi sono apparsi tra il 2006 e il 2007 sulla rivista d’arte e letteratura Passages e su Specchio de La Stampa. Nel 2007 è tra i finalisti della sezione giovani del premio “Cetonaverde Poesia” e nel 2008 partecipa alla Biennale dei Giovani artisti d’Europa e del Mediterraneo, nella sezione letteratura. Negli stessi anni è attiva con il gruppo POÈSIA nell’organizzare letture pubbliche di poesia. Nel 2013 è tra i selezionati al concorso “Verba Agrestia” e i suoi testi appaiono nell’antologia dedicata ai poeti pugliesi A sud del sud dei santi curata da Michelangelo Zizzi. Vive a Berlino dal 2008. 

 

Andrea Nisticò studia fotografia e lavora a Napoli come fotografo, concentrandosi soprattutto sulla fotografia in bianco e nero. Ha al suo attivo mostre personali e collettive. Dal 2004 dirige l’associazione di fotografia Trentasettesimofotogramma che organizza mostre, eventi, corsi e workshops. Dal 2008 vive a Berlino. La fotografia che presentiamo fa parte della serie “Damm”. Altri suoi lavori li trovate sulla sua pagina internet:

http://www.andreanistico.com

“Considero valore ogni forma di vita”. La poesia di Erri De Luca, qui e in molte piazze italiane, per la giornata di solidarietà con lo scrittore.

 

Dalla pagine fb di Erri De Luca

Oggi è la giornata di solidarietà con Erri De Luca, contro cui inizia domani un processo a causa di alcune dichiarazioni fatte dallo scrittore sulla necessità di fermare i lavori della TAV.

Contribuisco nel mio piccolo con due sue poesie: una in lettura e una in video, recitata da lui.

Io ho avuto la fortuna di conoscerlo e di presentarlo in un incontro a Como, molto tempo fa. Lui aveva già allora la faccia più poetica che io avessi mai visto: un labirinto di rughe e di solchi che ti veniva voglia di metterci un dito dentro per seguirli e vedere dove andavano a finire. Non l’ho fatto, ovviamente: mi sono solo limitata a chiedergli, un po’ ingenuamente, se non avesse freddo, visto che era sceso dal treno alla stazione di Como coi piedi nudi in un paio di sandali, i capelli rasati e una giacca leggera ben poco adatti alla gelida serata autunnale. La risposta era stata secca: „No, perché?“

Erri De Luca divide: è di moda o amarlo o odiarlo senza mezzi termini. Io di lui ho il ricordo di una persona essenziale, in cui nulla è superfluo; di un’aura francescana che si era ammorbidita a cena, con qualche bicchiere di vino, e dello scintillio divertito nei suoi occhi azzurri; e soprattutto ho il piacere sempre rinnovato, nella lettura, delle sue frasi raccolte, precise, pregnanti, frasi che se cambi o sposti un solo termine tutto cambia di segno. Frasi come poesia, insomma.

Di poesie vere e proprie De Luca ha pubblicato quattro raccolte, per Feltrinelli ed Einaudi. L’ultima (Einaudi) si intitola „Bizzarrie della provvidenza“.

Vi segnalo solo due manifestazioni di solidarietà (ma ce ne sono moltissime altre): una a Torino, alla Feltrinelli di piazza CLN, dove ci sarà una lettura pubblica delle sue poesie, e l’altra nella città dove vivo, a Berlino, alla libreria Mondolibro, dove alle 20.30 si terrà un concerto del musicista Leo Pari e tutti sono invitati a portare un libro di De Luca e leggere il proprio passaggio preferito.

VALORE

 

DUE

Quando saremo due saremo veglia e sonno
affonderemo nella stessa polpa
come il dente di latte e il suo secondo,
saremo due come sono le acque, le dolci e le salate,
come i cieli, del giorno e della notte,
due come sono i piedi, gli occhi, i reni,
come i tempi del battito
i colpi del respiro.
Quando saremo due non avremo metà
saremo un due che non si può dividere con niente.
Quando saremo due, nessuno sarà uno,
uno sarà l’uguale di nessuno
e l’unità consisterà nel due.
Quando saremo due
cambierà nome pure l’universo
diventerà diverso.

Ecco i link agli eventi:

http://www.einaudi.it/speciali/Per-Erri-De-Luca.-Letture-di-poesia-a-Torino

 http://www.mondolibro.de/4.html

 

 

 

 

 

Non solo amore: poesia e denuncia per il siriano Nizar Qabbani.

le plat des sardines

Ieri abbiamo accennato all’iniziativa del festival di poesia di Berlino su Gezi Park; e ieri, anniversario dell’inizio delle contestazioni, un’altra manifestazione di protesta è stata repressa con gas lacrimogeni e arresti dal primo ministro turco Erdogan.

Per questo la proposta di oggi è la poesia di un poeta e diplomatico siriano morto nel 1998, Nizar Qabbani.

Qabbani è diventato popolare per le poesie d’amore, ma gran parte della sua produzione è dedicata alla denuncia della violazione dei diritti umani, della mancanza di libertà, della guerra.

Questa poesia si intitola “Lezione d’arte plastica”, ma, come avrete intuito, parla di tutt’altro.

 

Lezione d’arte plastica

 

Mio figlio mi mette davanti la sua tavolozza dei colori

E mi domanda di disegnargli un uccello.

Io intingo il pennello nel colore grigio

E gli disegno un quadrato

Con delle sbarre e un catenaccio.

Mio figlio mi dice, sorpreso: Ma papà, questa è una prigione

Davvero non sai disegnare un uccello?

Io gli dico: Scusa, figlio mio,

Non so più come sono fatti gli uccelli.

 

Mio figlio mi mette davanti i suoi pastelli colorati

E mi domanda di disegnargli il mare

Io prendo una matita scura

E disegno un cerchio nero.

Mio figlio mi dice:

Ma papà, questo è un cerchio nero,

Davvero non sai che il mare è blu?

Io gli dico: Ascolta, figlio mio,

Un tempo sapevo disegnare il mare molto bene,

Ma mi hanno confiscato la mia canna da pesca,

Mi hanno preso il mio battello,

Mi hanno interdetto di avere relazioni con il colore blu,

E con il pesce della libertà.

 

Mio figlio mi mette davanti il suo album da disegno

E mi domanda di disegnargli una spiga di grano.

Io prendo una matita

E gli disegno un revolver.

Mio figlio si fa beffe della mia ignoranza

E mi dice, sorpreso:

Davvero non sai la differenza

Tra una spiga di grano e un revolver?

Io gli rispondo: Ascolta, figlio mio,

Un tempo sapevo bene com’era fatta la spiga del grano,

Com’era fatta la forma di pane,

Com’era la rosa,

Ma in questo tempo di metallo,

Dove gli alberi della foresta

Si sono arruolati nell’esercito,

E la rosa è in tenuta mimetica,

In questo tempo di spighe armate,

Di uccelli armati,

Di cultura armata,

Non posso comprare una forma di pane

Senza trovarci dentro un revolver,

Non posso cogliere una rosa da un cespuglio

Senza che lei mi minacci con la sua arma,

Non posso sfogliare un libro in libreria

Senza che mi esploda tra le mani.

 

Mio figlio si siede sul bordo del mio letto

E mi domanda di recitargli un poema.

Io verso una lacrima sul cuscino.

Lui la raccoglie e mi dice:

Ma papà, questa è una lacrima, e non un poema.

Io gli dico:

Quando sarai grande

E leggerai il meglio della poesia araba,

Saprai che la parola e la lacrima sono sorelle

E che il poema arabo

Non è che una lacrima che cola tra le dita.

 

Mio figlio mi mette davanti la sua scatola di colori

E mi domanda di disegnargli una patria.

Il pennello mi trema nella mano

E scoppio in pianto…

 

 

(Immagine tratta dal film “Le plat des sardines” del regista siriano Omar Amiralay)

Caffé e limoni per colazione

Le mattine di vacanza ho un rituale un po’ strano.

Assieme al caffè in una tazzina di Amalfi dipinta in gallo ed azzurro (il caffè, in quella tazzina, è più buono), mi prendo una decina di minuti per rileggermi „I limoni“ di Montale.

Non so perché proprio „I limoni“: forse perché si trova in un libriccino che ha trovato il suo posto stabile sul frigorifero e che sono troppo pigra per spostare; o perché il libretto si apre sempre proprio a quella pagina lì; o perché nella spesso grigia e ventosa Berlino mi piace la sferzata di luce che chiude il poema, anch’esso in parte grigio e ventoso (in senso meteorologico ed esistenziale).

Ricordo ancora la fatica nell’imparare la poesia a memoria alla scuola media: le parole sconosciute, ostiche (cosa mai saranno i „bossi, ligustri e acanti“?), il ritmo che pian piano si fa strada e conquista la voce, il disagio esistenziale che ero già abbastanza grande per percepire e ancora troppo piccola per riconoscere,; e poi gli improvvisi sprazzi di versi che illuminano la poesia e danno un attimo di tregua: „e piove in petto una dolcezza inquieta“,“la luce si fa avara -amara l’anima“ o il meraviglioso „qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza /ed è l’odore dei limoni“).

Ma al di là delle singole frasi è proprio il cammino, i richiami tra i singoli versi, il loro procedere con passo sicuro, la ricchezza delle prospettive che ci aprono, a conquistarmi.

Lo dico perché proprio stamattina, in un numero de „La lettura“ del Corriere della Sera (il 23 maggio, se a qualcuno interessa), leggo una polemica sulla moda di estrapolare e citare in rete frasi di scrittori e poeti fuori contesto. Certo, la rete è veloce e quel che capita in rete è fatto per essere consumato in fretta. M a alle volte vale la pena di prendersi un po’ di tempo.

Con lo stesso gusto di chi intraprende una camminata su una mulattiera di mare, sotto il sole, tra pruni e sterpi, e sudato e affaticato si accorge di uno scorcio di mare, di un profumo estivo, sente il piacere delle chiazze d’ombra sulla pelle, e ringrazia il cielo di essere andato a piedi e di non aver preso la macchina.

Quindi ecco la poesia, intera.

 

 

I limoni

Ascoltami, i poeti laureati

si muovono soltanto fra le piante

dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
lo, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantanoi ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall’azzurro:
più chiaro si ascolta il susurro
dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest’odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l’odore dei limoni.

Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s’abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d’intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno piú languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità.

Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rurnorose dove l’azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
il tedio dell’inverno sulle case,
la luce si fa avara – amara l’anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo dei cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.

 

Eugenio Montale